La Cassazione ha confermato la condanna a 14 mesi di carcere, senza la condizionale, al direttore del Giornale Alessandro Sallusti, reo di aver diffamato un magistrato. Molto bene, anzi malissimo direi. Dunque, succede questo: in Italia non basta il risarcimento in denari e in via amministrativa per tutelare l’onore e la reputazione di chi un giudice ritenga diffamato a mezzo stampa. Ci vuole la galera. Poiché, dice il giudice, c’è “pericolo” che il diffamatore (nel caso, Sallusti) “reiteri il reato”. Così dicono i magistrati che in tutti e tre gli ordini di giudizio hanno sentenziato a favore del loro collega magistrato.
PAGA SOLO SALLUSTI? Ora, a parte il fatto che svolgendo questo mestiere, uno può sbagliare per definizione. E, appunto, “reiterare”. Ma che succede se Sallusti va sul serio dietro le sbarre? Succede che poi il direttore del Giornale deve cambiare mestiere? Succede che davanti al profluvio quotidiano di insulti, violazione di segreti istruttori, sputtanamento generale, a pagare sarà solo lui e solo perché ha diffamato un magistrato piuttosto che un politico, un banchiere o un cittadino comune? E a pagare con gli schiavettoni, addirittura?
CANCELLARE LEGGI DA GIUNTA MILITARE. Di sicuro, a parte il guaio di Alessandro, a cui va la nostra più sentita (aspettando giustizia) solidarietà, l’Italia si coprirebbe di ridicolo (e tragico) davanti a tutto il mondo libero. Ma c’è anche quest’altro dubbio: non è che con questa sentenza si vuole certificare con scontrino fiscale carcerario che siamo sul serio alla Repubblica Giudiziaria? Ora il Parlamento (e il giornalismo democratico) devono davvero decidere se vogliono mantenere certe leggi assurde, che nell’odierno contesto di degrado garantiscono l’ulteriore imbarbarimento e sfascio di tutto, o se vogliono tentare via ddl d’emergenza la sortita verso il mondo libero cancellando immediatamente certe leggi da Giunta militare.
COSTITUZIONALISTI AL QUIRINALE. E in effetti, domani mattina una delegazione guidata dal costituzionalista Andrea Pugiotto salirà al Quirinale per discutere col presidente della Repubblica il documento di richiesta di amnistia e indulto già inviato a Napolitano prima dell’estate e sottoscritto da oltre 123 giuristi e costituzionalisti italiani (oltre che dai radicali, sindacati penitenziari, da noi di Tempi e da associazioni del volontariato in carcere). Cosa c’entra col caso Sallusti l’amnistia e l’indulto per cui si battono i 123 costituzionalisti eccetera? C’entra per il fatto che prima del caso Sallusti c’è questa “prepotente emergenza” (Napolitano) di carceri fuori legge, fuori Costituzione, fuori dalle leggi internazionali, che è denunciata da anni.
AMNISTIA. E allora i casi sono due: o si chiudono le carceri italiane come i magistrati di Taranto hanno chiuso l’Ilva (l’equazione è semplice: fabbriche illegali=carceri illegali, se in nome della legalità si chiudono le aziende, tanto più si devono chiudere i luoghi di tortura). Oppure si decreta l’amnistia e l’indulto come primo passo verso una vera riforma della (non) Giustizia italiana. Ecco, Sallusti sarebbe il primo cittadino ingiustamente incarcerato a usufruire dell’unico provvedimento di autentica legalità concepibile oggi in Italia. (Bè, il secondo sarebbe Renato Farina, parlamentare condannato a due anni e otto mesi di reclusione, senza la condizionale. E condannato non perché ha rubato. Non perché ha diffamato. Non perché è una Pussy riot. Ma perché è entrato in carcere a visitare un carcerato con un collaboratore “non autorizzato”).