Cannabis. E io che credevo fosse leggera

Di Leone Grotti
09 Marzo 2019
Parla Alex Berenson, l'ex cronista (antiproibizionista) del New York Times che ha sconvolto l’America mettendo in fila i dati sulla marijuana. Qui ci racconta perché ha deciso di farlo
Manifestazione per la legalizzazione della marijuana

Articolo tratto dal numero di Tempi di febbraio 2019.

«Ho perso la testa. Non sapevo dov’ero. Non sapevo che cosa stavo facendo. Non sapevo che lei era mia moglie. Non sapevo che c’era una minaccia. Non sapevo che la minaccia ero io. Giuro, giuro che non lo sapevo». Piange disperato Richard Kirk, padre di tre figli di Denver, che ha ammesso tra i singhiozzi di avere sparato un colpo in testa alla moglie la sera del 14 aprile 2014. L’uomo, che da anni soffriva di dolori alla schiena ed era diventato dipendente dal Vicodin, quel giorno aveva finito le pillole e per calmare i sintomi si era fermato da un rivenditore di marijuana, da pochi mesi diventata legale in Colorado. Aveva comprato un dolcetto da 100 grammi arricchito con la Thc, la principale sostanza psicotropa contenuta nella cannabis, e l’aveva mangiato. Quando è rientrato a casa, era fuori di sé: gridava come un forsennato, sproloquiava sulla fine del mondo e chiedeva di essere ucciso. «La verità vostro onore», ha dichiarato Kirk in tribunale prima di essere condannato a 30 anni di carcere per omicidio volontario, «è che non avevo idea che la marijuana mi avrebbe fatto quell’effetto. Se non avessi mangiato quel dolcetto la mia Kris sarebbe ancora qui. So che è così».

Quella di Richard Kirk è solo una delle tante storie raccontate nel libro che ha spaccato gli Stati Uniti e ricevuto un’eco enorme anche all’estero: Tell Your Children. The Truth About Marijuana, Mental Illness, and Violence (Ditelo ai vostri figli. La verità su marijuana, malattia mentale e violenza). L’inchiesta, pubblicata a gennaio da una delle più autorevoli case editrici americane, Simon & Schuster, ha fatto scalpore innanzitutto per l’identità insospettabile del suo autore: Alex Berenson, stimato giornalista investigativo e reporter di guerra del progressista New York Times. I suoi primi romanzi hanno ottenuto così tanto successo che nel 2010 Berenson si è licenziato dal giornale per scrivere a tempo pieno. Ma Tell Your Children non ha niente a che fare con la fiction: è un’inchiesta puntuale sul business della marijuana e sul legame appurato tra il consumo di cannabis e l’insorgenza di psicosi. Di più, Berenson dimostra, dati alla mano, che negli stati americani dove l’uso ricreativo è stato legalizzato (Oregon, Washington, Alaska, Colorado), sono aumentati crimini violenti e consumo.

BENEDETTA FU UNA BATTUTA

Copertina del numero di febbraio 2019 di Tempi

Tutto è cominciato quando la moglie, psichiatra laureata ad Harvard specializzata nella cura di criminali psicotici, parlando in casa di uno dei tanti casi di cui si stava occupando, quello di un uomo che aveva sgozzato la nonna senza motivo, ha buttato lì una frase innocente: «E ovviamente era fatto: aveva fumato marijuana». «“Ovviamente?”, le ho risposto scettico», racconta Berenson a Tempi. «Certo, fumano tutti». «Beh, ci saranno anche altri motivi». «Talvolta. Ma sono tutti fumatori». Quella frase ha perseguitato Berenson per settimane, fino a quando non ha deciso di approfondire. E studio dopo studio, intervista dopo intervista, ha scoperto che gli Stati Uniti sono come afflitti da allucinazione collettiva: il 65 per cento degli americani è favorevole alla legalizzazione, media e lobbisti insistono nell’affermare che la marijuana ha effetti positivi, rilassanti, previene l’aggressività ed è una valida alternativa agli oppioidi per calmare il dolore. «Peccato che i dati dicano il contrario. E più leggevo, più mi rendevo conto del pericolo».

Nel 2017 la National Academy of Medicine, uno degli istituti più prestigiosi del paese, ha pubblicato un rapporto di oltre 500 pagine dopo aver analizzato la letteratura scientifica esistente sulla cannabis, attestando che «il consumo di marijuana aumenta il rischio di schizofrenia e altre psicosi; più è alto il consumo, maggiore è il rischio». Se negli anni Settanta e Ottanta conteneva meno del 5 per cento di Thc, oggi la marijuana venduta legalmente ne contiene anche il 25 per cento. «Ci sono persone che assumono fino a 100-200 milligrammi di Thc al giorno. È come bere tra i 40 e gli 80 drink: neanche un alcolizzato all’ultimo stadio potrebbe tollerarlo». Se nel 2005 gli americani che fumavano tutti i giorni erano tre milioni, nel 2017 sono diventati otto milioni. E se nel 2006 sono state fatte 30 mila diagnosi di psicosi relative a persone che consumano marijuana, il dato è cresciuto a 90 mila nel 2014. Inoltre nei quattro Stati americani dove la marijuana è stata legalizzata tra il 2014 e il 2015, i casi di omicidio sono aumentati del 35 per cento, mentre a livello nazionale l’aumento è stato appena del 20 per cento. «Nel 2013 in questi Stati si sono registrati in tutto 450 omicidi, nel 2017 quasi 620. In Colorado c’è stato anche un aumento importante di suicidi di persone nel cui sangue è stata rinvenuta Thc. Anche il consumo e l’abuso di marijuana tra la popolazione aumenta con la legalizzazione. Queste non sono anomalie statistiche: è la realtà». Non solo. «La legalizzazione non distrugge affatto il mercato nero. Dove alle persone viene concesso di crescere le proprie piantine, si produce più cannabis di quanta se ne consumi. E la parte restante viene venduta illegalmente».

LA POSSIBILITA’ DI FARE NOTIZIA

Ma la marijuana legale è un business miliardario. E così quando Berenson gira per gli Stati Uniti a presentare questi dati «vengo preso in giro. I consumatori abituali si rifiutano di riconoscere i problemi connessi alla droga, li minimizzano e sono molto bravi a farlo». Di sicuro, «ero cosciente che per il mio passato al New York Times avrei avuto più probabilità di altri di essere ascoltato. Purtroppo, io e la mia famiglia abbiamo ricevuto minacce su Twitter e attraverso telefonate anonime a casa. Io tra l’altro non sono un proibizionista, ma la comunità che si batte per la legalizzazione dovrebbe smetterla di zittire ricercatori e giornalisti, affrontando invece il problema. E accettando il fatto che i pericoli sono reali. Possono gridare il contrario quanto vogliono, ma questo non cambierà la verità delle cose».

@LeoneGrotti

Foto Ansa

[liga]

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