«Fatti non foste a viver come bruti» (Inferno, canto 26)
Sfogliare un giornale è un gesto veloce e abituale; eppure, passare da una pagina all’altra può implicare un colossale salto di contenuto e generare associazioni mentali vertiginose. A me è accaduto scorrendo lo scorso numero del settimanale Internazionale: nel suo editoriale intitolato “Fantascienza”, Giovanni De Mauro discuteva del recente dietrofront della Spagna in materia di liberalizzazione dell’aborto e giudicava la proposta di Legge per la protezione del concepito e della donna incinta come un vero e proprio viaggio indietro nel tempo, «per azzerare conquiste civili e sociali (…), diritti che sembravano acquisiti e ormai intoccabili».
Togliere alle donne la libertà di abortire sarebbe come cancellare il suffragio universale, per De Mauro. Nella pagina precedente, la copertina dello stesso settimanale titolava in grande: “Salviamo gli elefanti”, in riferimento a un reportage sul traffico d’avorio che in Africa si traduce in uno spietato bracconaggio. Centinaia di pachidermi massacrati ogni giorno in nome di cinici e illegali profitti; chi firma l’articolo la definisce una strage silenziosa, quella degli elefanti.
Ad alcuni la contiguità editoriale di queste due notizie non suona paradossale, anzi può essere giudicata come un’identica battaglia in difesa di diritti calpestati, sul corpo delle donne e su quello degli elefanti. E so altrettanto bene che, chi sostiene che un feto con presunte gravi malformazioni abbia diritto alla vita, viene più facilmente associato a un bracconiere che a un pietoso essere dotato di ragione. Inizialmente sono rimasta perplessa da quella contiguità editoriale e dalla deduzione che ne traevo: ma come – mi dicevo – pietà per gli elefanti e non per i cuccioli della nostra specie?
Poi ho pensato che talvolta sono utili segni grossi come elefanti per accorgersi di evidenze che sfuggono in altri contesti. E l’evidenza è che la legge del più forte è un’atrocità. La vista del cadavere putrefatto e sventrato di un pachiderma è orribile, ne convengo col giornalista che l’ha visto di persona; io posso solo immaginare che sia l’evidenza raccapricciante della resa inerme di un essere debole di fronte a un avversario incontestabilmente più forte. E un grande elefante diventa senz’altro il più debole, se il nemico è la forza armata e cinica dell’uomo.
Un fucile è sicuramente un’arma, dei cadaveri squartati sono senz’altro delle vittime. Ma, cambiando contesto, che dire quando il più forte è un individuo armato di civili buone intenzioni, la violenza si ammanta dell’asettica igiene di un ospedale e il più debole è «qualcuno che non c’è»? Per quanto mi riguarda, penso che non sia fantascienza difendere il suffragio universale: cioè il diritto che ogni voce umana sia ascoltata.
Perché, qualunque nome si dia a ciò che sta dentro il grembo di una madre, è certo che se non verrà soppressa non potrà far altro che essere quella strana creatura – unica nel regno animale – la cui voce è capace di gridare: «Salviamo gli elefanti». Capace di fondare il Wwf e le missioni e gli ospedali da campo. Capace, in sintesi, di ascoltare una coscienza che s’indigna fortemente contro quella che è sempre un’ingiustizia: la legge del più forte.