
Bernardini: «Non rimandiamo all’infinito le immagini di Gheddafi e Sic»
La tv in questi ultimi giorni si è trovata di fronte a due avvenimenti tragici, che hanno invaso gli schermi, due fatti di morte: l’esecuzione del raìs Muammar Gheddafi da parte dei ribelli libici e la morte in pista del centauro Marco Simoncelli. Immagini trasmesse e ritrasmesse più volte, moviolate e vivisezionate. Tutto ciò pone un problema etico o la cronaca ha la sua priorità? «Secondo me il problema nasce dalla ripetizione. Mi spiego: è naturale che le immagini, una volta che arrivano in tutta la loro drammaticità, vadano in onda senza troppe cautele. Mi vengono in mente le prime riprese dai telefonini, per quanto riguarda l’uccisione di Gheddafi, non si può chiedere a un sistema televisivo come il nostro di oscurare il materiale a disposizione» risponde a Radio Tempi il curatore-conduttore del programma di Rai Tre, TV Talk, Massimo Bernardini. «Non richiamerei l’etica, bensì la deontologia giornalistica. Il vero problema nasce quando le immagini si ripetono all’infinito, e qui, purtroppo, penso al mortale incidente di Simoncelli, il rischio reale è che si trasformi in uno spot. Ecco: etica e deontologia non sono più valori basati sul buon senso. Noi giornalisti siamo sommersi da carte, da cavilli giuridici e burocratici, le regole, che conosciamo ma che all’inizio saltano, perchè l’esigenza della notizia lo richiede; poi si capisce che queste regole non hanno sedimentato una sorta di anticorpi che dovrebbero richiamare al contenuto dell’immagine».
Come si ricostruisce questa coscienza?
Sono stato colpito da una testimonianza della nostra collaboratrice di Al-Jazeera English: ci ha raccontato che quando sono arrivate le prime immagini di Gheddafi giustiziato, sui giornalisti arabi presenti in redazione è calato un silenzio a cui non aveva mai assistito, un silenzio drammatico. Questo significa che un’umanità esiste e resiste, anche se poi viene travolta dall’evolversi degli avvenimenti.
Fino a poco tempo fa esisteva il monopolio dei canali istituzionali, ora però ci sono la Rete, i telefonini, Youtube…
Infatti le regole non esistono più. E’ impossibile controllare questo fiume in piena. Tutto è mischiato, tutto si moltiplica. Forse tutto questo si fermerà un giorno, davanti a una “grande bufala”, a cui noi tutti crederemo e allora ci interrogheremo fino a che punto siamo arrivati.
Oggi il paese sta vivendo un passaggio travagliato in politica e nella società: le sembra che la televisione sia adeguata a raccontare la realtà attraverso i talk politici?
Stiamo vivendo uno snodo complicato: da una parte abbiamo lo strumento più vecchio, più usurato e più occupato dai politici: il talk show, lo strumento meno utile in questo momento per capire ciò che sta succedendo e la crisi nella quale viviamo. Nello stesso tempo, i talk si moltiplicano perché è un ambito televisivo a cui la gente si affeziona. Attualmente, malgrado la loro bruttezza, la loro inadeguatezza, sono ricercatissimi dallo spettatore: neanche l’arrivo del “Grande Fratello” ha distolto una buona fetta di pubblico dal collegarsi col talk di Lerner, che andava in onda contemporaneamente su La7. Più di un milione e mezzo di audience per quella rete è una cifra importante, anche se composta da un pubblico non propriamente giovane.
Un pubblico attratto dalla denuncia di una realtà sempre negativa?
Un elemento assente è il racconto di chi sta costruendo qualcosa di positivo, è proprio escluso dall’agenda e invece bisognerebbe sforzarsi di introdurlo questo aspetto della realtà, perché nel “casino” basta guardarsi attorno, c’è comunque chi costruisce: questo paese che tiene è raccontato molto poco dalla televisione, ma anche dai cosiddetti social network.
Ascolta l’intervista a Massimo Bernardini
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