L’attentato a Barcellona, l’Italia e le questioni che non possiamo più nascondere
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Gli attacchi terroristici verificatisi ieri a Barcellona e Cambrils ripropongono alcune questioni su cui, ormai da anni, continuiamo a interrogarci e, spesso, nascondere, evitando di farci i conti. Come ci spiegò in un’intervista qualche mese fa il generale Mario Mori, ex numero uno del Sisde, l’Europa nei confronti del terrorismo «non ha un problema di comprensione. È peggio, secondo me. L’Europa capisce bene di che cosa si tratta, ma si rifiuta di affrontarlo». Diceva Mori: «Gli Stati Uniti sono in guerra e ne sono consapevoli, tant’è vero che la loro risposta è militare. Certo, è una guerra asimmetrica, ma è una guerra. Usano le truppe e, soprattutto, forze speciali e tecnologiche come i droni. L’Europa, invece, ormai è imbelle. Tutti i capi europei, nei fatti, non combattono il terrorismo. Settant’anni di pace ci hanno fatto diventare una potenza economica, ma non militare. Bene, combattiamo allora, almeno, su questo terreno. Smettiamo di sostenere economicamente quegli Stati che sappiamo fiancheggiare i terroristi». E per “Stati”, Mori intendeva «Arabia Saudita, Qatar, Turchia».
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]LA PIATTAFORMA DEL SAHEL. Per comprendere meglio quanto accaduto in Spagna, sono tre gli articoli che vi segnaliamo. Il primo è l’editoriale di Maurizio Molinari sulla Stampa. Scrive il direttore del quotidiano torinese: «I jihadisti combattono nel nostro Continente ma con la mentalità delle faide del deserto: non basta uccidere, bisogna umiliare l’avversario e per riuscirvi il metodo è offendere ciò che ha di più caro, i suoi simboli. Anche perché ciò contribuisce a reclutare nuovi adepti».
Per Molinari, l’attacco in Spagna è da collegare alla «cooperazione anti-terrorista fra Madrid e Rabat che, a inizio maggio, ha portato a smantellare una cellula proprio di Isis fra Tangeri e la Catalogna, composta di foreign fighters marocchini fra i 21 e i 32 anni reduci da Siria e Iraq». È al Sahel che bisogna guardare: «Se in giugno l’antiterrorismo Usa aveva avvertito Madrid sul rischio di attacchi “con auto sulla folla” – il metodo della “Car Intifada” inventato dai jihadisti contro Israele – “nell’area mediterranea” è perché il ritorno dei veterani di Isis da Iraq e Siria ha trasformato il Sahel nella nuova roccaforte jihadista».
L’Isis sta cercando di insediarsi nello «spazio desertico fra il Maghreb e l’Africa Occidentale, a cavallo di confini desertici inesistenti fra Mali, Niger, Mauritania, Algeria, Libia e Ciad». Quella è «una piattaforma ideale dove riorganizzare le cellule dopo le sconfitte subite in Medio Oriente».
CHE FARE? Altro articolo che merita di essere letto è quello di Renato Farina su Libero, in cui il giornalista scrive: «Non c’è bisogno di essere dei geni per capire che proprio il nostro paese da oggi è il più esposto». «Prevenire? Certo. Ti ripari da dieci colpi, da cento tentativi. Ma prima o poi negli interstizi della sicurezza la freccia avvelenata colpisce il corpo inerme del popolo». Quindi, che fare? «La questione vera – scrive Farina – è che non sappiamo cosa fare. Anzi, lo sapremmo. Tenere alla larga islam e islamici dall’Italia. Ma come si fa: i musulmani sono un milione e seicentomila da noi. La grandissima parte, è ovvio, non trama delitti: ma i terroristi o i pre-terroristi si nutrono in quella pancia ospitale. Bisogna costringere quella pancia a vomitarli, con le buone o con le cattive». Anche perché «il blocco di fatto della tratta, che si sta registrando grazie alle iniziative su Ong e Libia di Minniti, paradossalmente rischia di farci pagare il prezzo della vendetta».
LA SITUAZIONE ITALIANA. L’Italia, appunto. Un articolo oggi sul Corriere della Sera spiega come si stanno muovendo le forze dell’ordine italiane nei confronti del terrorismo: «Ventinove estremisti arrestati, 125 foreign fighters monitorati, 190.909 persone e 65.878 veicoli controllati, 67 espulsioni per motivi di sicurezza (di cui tre imam): sono i dati della prevenzione antiterrorismo nei primi sette mesi dell’anno (aggiornati al 31 luglio)». «I dati diffusi in occasione dell’ultimo Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza – prosegue il Corriere – raccontano di un incremento di tutte le voci rispetto al 2016. Le espulsioni per ragioni di sicurezza ad esempio sono quasi raddoppiate (37 un anno fa) e sono 199 in totale dal 2015 — Minniti lo definisce “uno strumento prezioso di prevenzione che altri Paesi non hanno” —. Pressoché triplicati i controlli su veicoli e sospetti, in aumento anche i “combattenti stranieri” finiti sotto osservazione (110 nel 2016) e gli arresti (25 un anno fa). Ma anche con questi risultati l’allerta resta massima per il cosiddetto fattore “prevedibilità zero”, ossia la modalità d’attacco con quelle che ormai sono considerate armi non convenzionali: Tir e appunto furgoni lanciati contro al folla».
Foto Ansa
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