Arresto Genovese. «Il fumus persecutionis c’è, cari colleghi del Pd. Ma voi avete scelto di far schizzare il sangue nell’arena»

Di Maurizio Bianconi
16 Maggio 2014
L'intervento pronunciato ieri da Maurizio Bianconi per dichiarare il voto contrario di Forza Italia alla carcerazione del collega Pd. «Basta essere deputati per andare in galera? Siamo più bravi della Merkel a fare cappottare questa democrazia»

Pubblichiamo l’intervento pronunciato ieri dall’onorevole Maurizio Bianconi a Montecitorio, con il quale il gruppo di Forza Italia ha dichiarato il voto contrario all’arresto preventivo di Francantonio Genovese, deputato Pd accusato di associazione a delinquere, riciclaggio, peculato e truffa dalla procura di Messina. La richiesta di custodia cautelare è stata approvata dalla Camera, con i voti favorevoli di quasi tutti gli eletti del Pd (solo 5 contrari e un astenuto). Ad opporsi solo gli onorevoli di Forza Italia e Ncd. Dopo il voto, Genovese si è costituito nel carcere di Gazzi a Messina.

Signor Presidente, fare un discorso sereno su questi temi con i tempi che corrono è quasi impossibile. L’opinione pubblica ritiene che i politici siano tutti ladri, tutti mascalzoni, tutti bugiardi, tutti da mandare in galera. Figuriamoci quando ce n’è uno che ci sta per andare per davvero, se la canea non si debba sciogliere nel grido di Bracardi che vi ricorderete tutti: in galera! In galera!

Noi non possiamo stare a questo gioco populista. Noi vorremmo fare un ragionamento un pochino più articolato e più sereno. Vorremmo anche con umiltà ricordare che da quando c’è la democrazia, dalla Atene di Pericle, che tutti voi avete studiato, salendo su per la Roma repubblicana e venendo sempre più su, arrivando agli Stati Uniti d’America e anche alla nostra Italia post-bellica dopo il fascismo, neodemocratica, fresca di Costituzione, anzi di Costituente, i politici sono sempre stati visti come portatori di corruzione, a contatto con il potere, pericolosamente invischiati in questioni di interesse. L’Uomo Qualunque è un partito che in Italia è nato del 1946, quando ancora questa democrazia doveva dimostrare cos’era, e già era stato istituito il nomignolo di «forchettoni» per coloro che erano in servizio permanente effettivo.

In questo clima fare un discorso sereno è difficile e la politica ha le sue responsabilità. La prima responsabilità è che, in effetti, tra noi c’è chi si è approfittato del ruolo e ha fatto ciò che non doveva fare. Ma c’è anche chi tra noi ha assecondato le pulsioni popolari e si è messo a capo di canee populiste pericolosissime. Ma non tanto perché esse reclamano la pulizia, ma perché esse indeboliscono, insieme a chi fa quello che non deve fare, il presidio delle istituzioni democratiche che sono portate alla tutela del popolo, non tanto e non soltanto dai membri immeritevoli ma soprattutto dai poteri esterni (…).

(…) Il caso Genovese oggi non è più il caso Genovese in sé, ma è l’ennesimo caso emblematico, è l’ennesimo caso esemplare, è la verifica triste, non solo sulla pelle di un uomo, ma sulla tenuta delle istituzioni, se il Partito Democratico è il protettore dei suoi membri, oppure è il Torquemada che dice di essere nelle piazze e sono tutti lì, con gli occhi fuori dalle orbite per vedere se questa decapitazione avverrà e quanto costerà al Partito Democratico tener fede alla sua fama.

E così, attraverso questo meccanismo, un altro presidio sacro di una democrazia liberale va a farsi friggere, perché, quando si parla di cose di coscienza, quando si parla di cose che riguardano persone, quando la coscienza veramente deve funzionare esiste il voto segreto, il gruppo dà una traccia, ma poi ci deve essere la capacità di indugiare con il proprio foro interno. Ma siccome il sangue deve schizzare nell’arena, abbiamo dovuto rinunciare anche a quest’ultimo presidio e tutela della libertà individuale dei rappresentanti del popolo in una scelta così grande, segnando ancora un altro scalino di degrado di questa istituzione.

Vedete, in mezzo a questo caos generale, l’articolo 68, secondo comma della Costituzione, che è il presidio della inviolabilità della funzione parlamentare ed è la garanzia del plenum e dell’Assemblea, perché i padri costituenti non è che si fecero un hatù, i padri costituenti determinarono la inviolabilità e la sacralità della funzione parlamentare e l’integrità del plenum, ritenendo che i poteri estranei alle Assemblee costituenti e alle Assemblee elettive fossero più forti e tali da poterne inquinare l’indipendenza, cioè temevano quello che è successo, che i poteri finanziari filtrassero nelle Assemblee, che i poteri forti filtrassero nelle Assemblee e che la magistratura filtrasse nelle Assemblee. Ha questo senso l’articolo 68: non è un presidio di privilegi, è un presidio di democrazia!

Bene, abbiamo grossolanamente tolto il voto segreto e il presidio dell’articolo 68 e si è voluta la ghigliottina in piazza. Io ricordo ai giovani colleghi del 5 Stelle – perché sono quasi tutti giovani – che la storia ci insegna una cosa: che chi porta la ghigliottina in piazza, prima o poi la testa sotto la ghigliottina ce la mette, che è un esercizio pericolosissimo, che troveremo uno che è sempre più Robespierre di te e distruggerai le istituzioni, le libertà personali, i presidi storici della democrazia liberale.

Tutto per tre voti in più. E nell’analisi specifica, ricordo che qui ho sentito – dico purtroppo e con dispiacere – fare quello che non si deve fare quando si guarda all’applicazione dell’articolo che ci preserva – l’articolo 68 – dalla custodia cautelare in carcere. Si fa il processo, si guarda quanto Genovese è colpevole o quanto sembri colpevole. Noi non siamo mica un tribunale. Quanto Genovese apparisse colpevole – l’ha già detto un collega – toccava accertarlo al Partito Democratico prima di candidarlo. L’esame vero doveva essere fatto prima. Il clan Gullotti non è una novità in Italia. Messina non è New York. I meccanismi utilizzati, da quello che si ricava dalle carte, non sono meccanismi strani. Il processo era cominciato nel 2011, ma lo avete candidato lo stesso.

Allora, quell’esame lì non può scaricare sull’efficienza delle istituzioni un errore di candidatura e questo non è stato detto soltanto da me, ma è stato detto anche da gente diversa rispetto al centrodestra, come abbiamo sentito oggi.

Allora, non c’entra niente quanto è colpevole. Noi dobbiamo valutare il fumus e anche qui ho visto che l’analisi è fatta, diciamo così, un po’ grossolanamente, un po’ grossier. Non è che noi dobbiamo vedere se ci sono prove del fumus; dobbiamo vedere se non ci sono prove del fumus. L’analisi è sempre negativa, perché il faldone che ci arriva l’ha fatto il pubblico ministero, che vuole l’arresto. Le carte dentro ce le ha messe lui. Non abbiamo la visione integrale del processo.

Allora, c’è sempre una cartina di tornasole, una, per fare vedere se c’è il fumus: se c’è la prevenzione contro il politico; e qui c’è, perché si dice che, siccome quest’uomo è un deputato, siccome quest’uomo ha relazioni, siccome quest’uomo è importante, e dunque è pericoloso, allora va tenuto in carcere in via preventiva. Questa è la prova del fumus, cioè si arresta perché è deputato. Cioè, il fatto di essere deputato costituisce un fatto inalienabile per essere incarcerati comunque.

E, allora, dal decadimento del costume, dal decadimento delle istituzioni, dalla ghigliottina in piazza si passa alla farsa: basta essere deputati per andare in galera, altro che privilegi! Così facendo, faremo ben più alla svelta di quello che desidera la Merkel a fare cappottare questa democrazia. Noi voteremo contro.

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