Aria ha 15 anni e vive con la sua famiglia in una tenda nel campo profughi di Khanke, nel nord dell’Iraq. Come centinaia (forse migliaia) di altre sue coetanee yazide, anche lei ha una storia di orrore da raccontare, essendo stata rapita dallo Stato islamico ad agosto e scappata per miracolo dopo un mese di detenzione.
IL SEQUESTRO. Quando i jihadisti hanno invaso la città di Sinjar, dove vivevano 310 mila yazidi, Aria è salita in macchina con la sua famiglia nel tentativo di scappare. Ma la loro auto è stata raggiunta da una colonna di veicoli con le bandiere nere che sventolavano dal finestrino. «Ci hanno costretti a uscire dall’auto», racconta alla Cnn. «Le ragazze e le donne sono state separate dagli uomini, incluso mio fratello di 19 anni. Ma hanno preso con sé solo le ragazze e ci hanno costrette a salire su un camioncino».
LA CONVERSIONE. Insieme alla cugina di 14 anni e a un altro pugno di ragazze è stata sballottata per 120 chilometri fino a Mosul, conquistata dagli islamisti a giugno e “capitale” del califfato, dove è stata rinchiusa in una casa a tre piani nella quale si trovavano già dozzine di altre ragazze rapite. «Hanno cercato di farci convertire alla loro religione», continua Aria. «Ci hanno detto: “Leggete il nostro Corano”. Ma molte ragazze hanno risposto che non sapevano leggere perché non erano mai andate a scuola». Gli yazidi sono una popolazione di etnia curda e la loro religione combina islam e zoroastrismo. Poiché credono in diverse divinità sono considerati dai terroristi come pagani e «adoratori di Satana».
GLI STUPRI. Per tre settimane le ragazze sono rimaste chiuse nella casa. Un giorno, un religioso è entrato e ha raggruppato venti di loro, tra cui la cugina di Aria. «Le si è gettato sopra. Ero molto spaventata. Un sacco di mie amiche sono state stuprate. È difficile per me parlare di queste cose». La ragazzina ammette di essere rimasta traumatizzata: «Continuo a vedere le loro facce. Ho degli incubi la notte. Non riesco a smettere di pensare a come venivano stuprate. Ho visto troppo».
LA FUGA. Due miliziani dello Stato islamico le hanno poi trasferite a Falluja, città conquistata a gennaio. «Erano davvero sudici, alti e grossi. Portavano la barba lunga. Anche degli uomini si sarebbero spaventati. Ci hanno costrette a sposarli, minacciandoci di picchiarci. Ci hanno anche dato un telefono per chiamare le nostre famiglie e dire loro che ci eravamo convertite».
Ma Aria non ha telefonato ai suoi genitori. Ha invece chiamato un amico di suo zio, che conosceva molte persone a Falluja disposte ad aiutarle. Siccome questi amici «non potevano venire nella casa dove ci avevano rinchiuse per salvarci», prima «abbiamo pensato di suicidarci», poi invece «abbiamo provato a scappare: abbiamo forzato la porta, indossato il niqab e camminato per circa un’ora fino a dove questi amici ci aspettavano. Loro ci hanno salvate».
«SENSO DI COLPA». Aria è stata poi trasferita nel campo profughi, dove già si trovava la sua famiglia e dove ha fatto una terribile scoperta: «Non sapevo che mio fratello fosse stato ucciso. Avevo solo lui ed era sposato da soli sei mesi. Gli hanno sparato un colpo in testa». C’è un altro motivo per cui la ragazzina oggi non riesce a dormire, nonostante sia finalmente salva: «Ho saputo che quando [lo Stato islamico] ha scoperto che eravamo scappate, ha stuprato tutte le altre ragazze. Questa è stata la punizione. Ora hanno aumentato le misure di sicurezza perché nessun’altra possa fuggire. Io devo vivere con questo senso di colpa».