«Tutte le vite contano». La lezione di un padre ferito all’America e a Black Lives Matter

Di Piero Vietti
26 Novembre 2021
Dopo la condanna dei tre assassini (bianchi) del nero Ahmaud Arbery, suo padre Marcus lancia un appello al paese lacerato: «Nessun genitore deve soffrire così. All lives matter»
Il padre di Ahmaud Arbery, Marcus, in lacrime dopo il verdetto di colpevolezza per i tre aggressori del figlio (foto Ansa)

«Davvero, tutte le vite contano. Non soltanto quelle dei ragazzi neri». Inaspettato e coraggioso, con queste semplici parole mercoledì Marcus Arbery ha detto l’indicibile, ribaltando mesi e anni di retorica antirazzista.

I tre aggressori di Arbery giudicati colpevoli

Marcus è il padre di Ahmaud, venticinquenne di colore che il 23 febbraio 2020 è stato prima fermato e poi ammazzato a colpi di fucile da tre uomini, Travis McMichael, Greg McMichael e Roddie Bryan, i quali – questa è stata la loro difesa – lo avrebbero scambiato per un delinquente che aveva già compiuto diversi furti nel loro quartiere a Brunswick, in Georgia. I tre, bianchi, sono stati incriminati soltanto a maggio di quell’anno, quando un video dell’omicidio è diventato virale, dimostrando che Ahmaud Arbery stava facendo jogging e che i suoi aggressori non si stavano affatto difendendo da lui.

Il procedimento in tribunale, sebbene con meno eco mediatica di quello a Kyle Rittenhouse, aveva tutti i crismi del processo all’uomo bianco razzista, e con non poche prove a carico dei tre, giudicati infine colpevoli questo mercoledì. Secondo il Guardian il caso ha rivelato una volta di più «i metodi razzisti con cui il sistema legale americano è stato progettato per trattare i neri diversamente», a partire dai tentennamenti delle autorità che hanno accusato i tre aggressori soltanto davanti alla prova schiacciante del video. Per i media tutta la vicenda è la dimostrazione che ai neri è vietato fare cose ordinarie come andare a correre, per colpa di leggi obsolete che allargano molto i confini dell’autodifesa in alcuni stati americani, che le forze dell’ordine hanno un pregiudizio positivo nei confronti dei bianchi.

Il processo all’uomo bianco

La difesa è riuscita a ricusare quasi tutti i giudici di colore, ottenendo una giuria composta da undici bianchi e un nero, e a fare allontanare dalle aule del tribunale alcuni noti attivisti per i diritti degli afroamericani sostenendo che avrebbero influenzato la decisione dei giurati. Ben Crump, uno degli avvocati della famiglia Arbery, ha sottolineato nei giorni prima del verdetto l’urgente necessità di giustizia razziale per le comunità nere, dicendo che «ciò che accadrà qui a Brunswick, in Georgia, nel processo agli assassini di Ahmaud Arbery, sarà un monito non solo alla Georgia, non solo all’America, ma al mondo, perché veda fino a che punto siamo arrivati ​​per ottenere una giustizia equa in America per i neri emarginati».

Di fronte al tribunale nei giorni scorsi ci sono state manifestazioni del movimento Black Lives Matter, e tutti raccontavano il processo ai tre aggressori di Ahmaud come la prova del 9 che black lives matter, le vite dei neri contano (e guai a chi fa distinguo). Uno spot perfetto per il movimento radicale che in questi anni ha agitato le piazze, provocato danni e guidato rivolte, è arrivato con un’operazione di marketing perfetta a fare inginocchiare gli sportivi di tutto il mondo in diretta tv, e ha trasformato l’antirazzismo in dogma imponendo un codice di comportamento basato sulla delazione e il boicottaggio in nome della sensibilizzazione ai problemi dei neri facendo leva sul senso di colpa dell’uomo bianco occidentale, colpevole di essere ciò che è.

Il dolore di un padre

Per questo le parole del padre di Ahmaud, Marcus, sono sembrate la vera rivoluzione. Commosso, straziato per la morte del figlio, prima di dirsi finalmente sollevato perché giustizia è stata fatta ha voluto ripetere più volte che All Lives Matter. «Non voglio vedere nessun padre guardare il proprio figlio lasciato solo e ucciso così. Ecco perché è un problema di tutti. Continuiamo a combattere, continuiamo a farlo e a rendere questo posto un posto migliore per tutti gli esseri umani», ha detto Arbery. Che ha voluto ribadire, tra gli applausi e le facce un po’ stranite di alcuni attivisti accanto a lui: «Tutti gli esseri umani, tutti. Ama tutti. Tutti gli esseri umani hanno bisogno di essere trattati allo stesso modo… oggi è una buona giornata».

Un miracolo nell’America lacerata

Il giornalista Michael Shellenberger ricordava ieri, celebrando le parole di Marcus Arbery, quante persone nell’ultimo anni in America sono state minacciate, costrette alle dimissioni o licenziate perché avevano provato a dire la stessa cosa, fino al caso limite di Jessica Doty Whitaker, una ragazza di 24 anni uccisa a Indianapolis dopo una lite con alcuni attivisti di BLM per avere detto loro che «tutte le vite contano». Mercoledì pomeriggio, di colpo le recriminazioni e gli slogan di chi dice che importano solo le black lives sono evaporati. Mentre i media mainstream e i politici democratici insistevano sulla matrice razzista dell’aggressione, un uomo di colore, un padre ferito a morte che avrebbe avuto tutto il diritto di urlare al mondo il suo dolore in modo egoista, ha voluto ricordare che all lives matter. Quasi un miracolo, nell’America strappata di questi tempi.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.