Alla fine, all’udire il quinto «not guilty», «non colpevole», Kyle Rittenhouse è crollato, scoppiando in un pianto a dirotto e per un istante, a chi voleva vedere, è sembrato solo quello che è: un ragazzo di diciotto anni. Non un mostro suprematista, non un eroe conservatore. Eppure, come il Franti di Cuore, lo sguardo deamicisiano e un po’ woke di mezz’America l’aveva già condannato dall’agosto scorso e al processo in diretta tivù aveva potuto constatare un’unica differenza: l’infame non sorrise, l’infame ha pianto.
Rittenhouse ha agito per legittima difesa
Con lui gli Stati Uniti sono tornati a guardare a Kenosha, località del Wisconsin sconosciuta ai più prima dell’estate del 2020, quando venne messa a ferro e fuoco da tre giorni di proteste dopo che un poliziotto aveva sparato a un afroamericano. Il 17enne Kyle, “aspirante vigilante” dall’Illinois con la faccia da bambino, aveva aperto il fuoco contro tre manifestanti antirazzisti, bianchi, uccidendone due, con il suo fucile ...
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