
Il Deserto dei Tartari
Animali domestici e dove tumularli

La decisione con cui il Comune di Milano ha dato il via libera alla sepoltura dei resti di animali da compagnia nella stessa tomba del loro proprietario conferma quello che andiamo dicendo da molto tempo: gli animali non esistono più, sono stati interamente assorbiti dagli esseri umani, la loro alterità è stata completamente cancellata, la loro individualità – apparentemente celebrata in mille modi – è profondamente compromessa.
Da Alarico ad Alain Delon
La consuetudine di seppellire insieme esseri umani e i loro animali risale a quelle civiltà del passato nelle quali il re o un riverito patriarca – sì, stiamo parlando di civiltà patriarcali – portava con sé nella tomba le sue proprietà: mogli, schiavi, cavalli, cani. Alarico, re dei Visigoti, com’è noto fu sepolto nel letto o sulle sponde del fiume Busento insieme ai suoi cavalli. Nelle tombe dei faraoni egiziani sono state rinvenute mummie di animali votivi, sacrificati al momento del funerale, come ibis e babbuini, ma anche di animali domestici come cani e gatti. Al Museo del Cairo si può ammirare il sarcofago della gatta del principe Tuthmose, vissuto attorno al 1.360 a.C. e morto prematuramente senza poter salire al trono. Nella tomba KV 50 della Valle dei Templi è stata rinvenuta la mummia di un cane, membro della famiglia reale o di quella di un alto dignitario.
Questi animali potevano essere inseriti nella sepoltura del loro proprietario in momenti diversi, a seconda della successione dei decessi degli uni e dell’altro, oppure venivano uccisi contestualmente alla morte del loro padrone per essere immediatamente mummificati insieme a lui. Com’è noto, il testamento dell’attore Alain Delon conteneva la disposizione di essere sepolto nella cappella di Douchy insieme ai suoi 35 cani già deceduti e le cui spoglie erano lì conservate, e di sopprimere Loubo, il suo pastore belga ancora vivente, perché anch’esso lo seguisse nella tomba. Volontà che non è stata rispettata per intervento della Fondazione Brigitte Bardot, che ha convinto i figli del defunto a soprassedere. In vita Delon ha sostenuto e appoggiato in tutti i modi le attività a favore dei “diritti” degli animali promosse dalla collega (con cui ha girato una mezza dozzina di film, ma di cui ancora si apprezzano soprattutto le foto di lei e lui insieme sui motoscafi a Saint-Tropez, con pochi vestiti addosso), ma nel momento supremo costei lo ha tradito.
Un oggetto di proprietà
Non si facevano problemi del genere, fino all’epoca coloniale compresa, i re ibo e yoruba della Nigeria e quelli del Dahomey, l’attuale Benin: quando nel 1858 morì Gezo, il re del Dahomey noto come il maggiore trafficante di schiavi dell’Africa occidentale destinati alle piantagioni americane, 800 schiavi di varia provenienza furono sacrificati per il suo funerale. Più modestamente i re ibo e yoruba disponevano la soppressione di qualche servitore del re o schiavo prescelto e dei suoi animali prediletti. Nell’opera teatrale La morte e il cavaliere del re il premio Nobel per la letteratura Wole Soyinka mette in scena una storia veramente accaduta in epoca coloniale, quando alla morte di un re locale yoruba il suicidio caldeggiato dalla tradizione del suo addestratore di cavalli (ma impedito dalle autorità britanniche) è preceduto dall’uccisione del cavallo e del cane preferiti di sua maestà, che con lui saranno tumulati.
Tutti questi riferimenti e queste citazioni servono a mettere in chiaro un semplice concetto: la sepoltura nel medesimo luogo di altri esseri viventi insieme al defunto principale in posizione a lui subordinata e in forma di dipendenza da costui indicano la riduzione di questi viventi a cose, a oggetti animati di sua proprietà. E gli oggetti di proprietà altro non sono che prolungamenti della nostra persona, protesi della nostra individualità, prolungamenti del nostro corpo. Non sono altro da noi, sono una parte di noi che non vogliamo che ci sopravviva, o che resti separata da noi se si è spenta prima della nostra morte. Passiamo dall’antropomorfizzazione degli animali – trattati come figli viziati nutriti e accessoriati con prodotti di prima qualità e accuditi come genitori bisognosi di cure (veterinarie) quando si tratta di animali domestici, protetti come titolari di diritti analoghi a quelli umani nel caso delle specie selvatiche di cui si proibisce la caccia o dei soggetti che si rendono responsabili di lesioni o uccisioni ai danni di esseri umani, come gli orsi – al loro puro e semplice assorbimento nella personalità narcisistica del soggetto umano.
Che razza di civiltà
Il Comune di Milano sostiene che il provvedimento che contempla la tumulazione di animali nei cimiteri cittadini rappresenta l’applicazione della legge regionale n. 20 del 2022, ma dobbiamo esserci persi qualcosa, perché quella legge riguarda la creazione di cimiteri riservati agli animali, e non l’ammissione degli animali nei cimiteri dove sono sepolti i resti mortali degli esseri umani. Nel testo contenuto nel Bollettino Ufficiale di Regione Lombardia non c’è nemmeno una riga che faccia pensare alla sepoltura congiunta di umani e animali.
E non c’è assolutamente nulla di analogo alle regole tassative che vigeranno a Milano, e che Il Post riassume così:
«Le ceneri dell’animale domestico potranno essere inserite nei loculi, in un’urna separata da quella del proprietario defunto, oppure nelle tombe di famiglia. Non si potranno però aggiungere lapidi che indichino nome e data di nascita-morte dell’animale, così come è vietata l’aggiunta di una sua fotografia. È invece permesso utilizzare una fotografia della persona defunta ritratta insieme al proprio animale domestico».
Come volevasi dimostrare: l’identità dell’animale sarà indistinguibile da quella del suo proprietario, le sue ceneri resteranno innominate. L’unica cosa pienamente riconosciuta è la volontà del defunto, che esige anche nella morte l’unità indissolubile col vivente che gli fu di compagnia nell’esistenza. Tale volontà trionfa incontrastata, ma chi la formulò in vita la considerò condivisa dal compagno che non poteva esprimerla solo perché privo del dono della parola. Ma che se avesse potuto, si sarebbe espresso come nella preghiera a Cristo dell’inno medievale: «Jesu, tibi vivo; Jesu, tibi morior; Jesu, sive vivo sive morior, tuus sum». Al posto di Gesù c’è il padrone a cui l’animale tributò, ricambiato, affetto sconfinato.
L’assessore ai Servizi civici Gaia Romani ha dichiarato che «la tumulazione degli animali domestici nei cimiteri cittadini è un atto di civiltà che in molti attendevano». Sì, la civiltà dove l’alterità non è più riconosciuta, la civiltà del narcisismo nella quale ognuno di noi ha bisogno di sentirsi il Dio di qualcun altro, e se non ci riesce coi fratelli uomini concentra le sue attenzioni sugli animali addomesticabili, che ci riservano quelle soddisfazioni e quella devozione incondizionata che gli esseri umani, nella loro libertà, ci dispensano solo col contagocce.
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