Altro che scontri tra tifosi, ad Amsterdam è stata una “caccia all’ebreo”
Non mi definisco filo-israeliana, ma sono rimasta impressionata dalle immagini del pestaggio ad Amsterdam dei tifosi della squadra di calcio del Maccabi Tel Aviv. «Urla “Palestina libera!”» e poi giù botte a chi veniva identificato come ebreo. Leggo che c’erano state tensioni tra i supporter delle due squadre che dovevano giocare la partita di Europa League, ma questo non mi sembra un semplice scontro tra tifoserie, ma una vera e propria imboscata con “caccia all’ebreo”.
Marta Servaggi
Che si sia trattato di un agguato pianificato e non di una scazzottata tra tifosi è così evidente che solo certi commentatori social possono negarlo. Testimonianze e video ci mostrano e raccontano di gruppi di trenta o quaranta arabi che rincorrono i tifosi del Maccabi per riempirli di calci e pugni. C’è un video in cui si vedono e sentono le voci di alcuni di questi aggressori chiedere a un ragazzo se è ebreo. Quando quello gli mostra il documento d’identità che attesta essere ucraino, lo lasciano andare. Evidentemente cercavano solo loro: una vera e propria “caccia all’ebreo”. Che in Europa, soprattutto dopo il 7 ottobre, crescano sentimenti antisemiti è un dato di fatto, indagato di recente da un libro di Pigi Battista e documentato dai dati raccolti dal Cdec (in Italia: +200 per cento in un anno). Che tutto ciò avvenga ad Amsterdam, città di Anna Frank, dove fu ucciso Theo van Gogh, dove il Maccabi ha sfidato l’Ajax, squadra che nacque in seno alla comunità ebraica olandese, a pochi giorni dall’anniversario della Notte dei cristalli, non fa che aumentare la nostra inquietudine.
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Sebbene in molti si siano scandalizzati e abbiano protestato, la sospensione per tre mesi del professore Christian Raimo mi sembra una punizione financo troppo lieve. Raimo non ha espresso critiche in pubblico all’operato del ministro Valditara, ma ha fatto di più: ha detto che andava «colpito perché è un bersaglio debole» e che occorresse organizzare una manifestazione «non per la scuola, [ma] contro Valditara perché c’è dentro la sua ideologia tutto il peggio», paragonandolo infine alla «Morte Nera» di Star Wars. Se non è un “cattivo maestro” lui, chi lo è?
Guido Trambelli
Raimo, già candidato di Alleanza Verdi e Sinistra alle elezioni europee, non è nuovo alle cronache e si segnala sempre per i suoi insulti agli esponenti del centrodestra. Ieri, il Giornale ne ricordava alcuni: «”L’ideologia di Valditara è un precipitato di razzismo, classismo e cialtroneria”, scriveva su Facebook il 23 settembre. Due giorni prima, su X: “La retorica del ministro Valditara” è “una panzana”. Il 13 agosto, su Facebook, sempre riferito al ministro dell’Istruzione: “Valditara è impresentabile, la sua idea di scuola è lurida e pericolosa”. Ma non c’è solo Valditara. Il professore, su X, il 7 luglio, si lanciava in un’analisi spericolata: “Il futuro è il socialismo”. Poi la conclusione: “E adesso stuccateci il cazzo con l’antisemitismo a sinistra e i centri sociali”». Come giustamente nota lei, caro Guido, qui la libertà di critica e di espressione non c’entra nulla. L’invito, poi, a «colpire» il ministro è uno spericolato passo più in là. Come abbiamo già scritto una volta, «dalle “sparate” dialettiche agli spari veri e propri il passaggio può essere molto breve».
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A proposito del risultato delle elezioni statunitensi avete scritto che i dem «si sono rifiutati di guardare». Io credo mentissero consapevolmente. Da inizio ottobre, tutti i principali siti di scommesse davano Trump vincente senza incertezze. Donald pagava 170 e Kamala 220. Come mai i bookmakers sono meglio informati del Sole 24 Ore o del Corriere della sera? Eppure credo che anche i bookmakers siano strutturati e si basino su sondaggi… Due giorni prima delle elezioni ci hanno detto che in Iowa la Harris era in testa. Kamala lì ha perso 42 a 56. È impossibile (praticamente) sbagliare il vincitore di un sondaggio tra due candidati quando uno sorpassa l’altro con 14 punti di distacco.
Francesco Paoletti, Oriolo Romano, VT
Nelle ultime settimane prima del voto mi ha molto colpito che, a fianco di quel che tutti riportavano come dato assodato (Trump è in leggerissimo vantaggio nei sette stati in bilico), si pubblicavano con grande enfasi rilevazioni alternative che davano per vincente la Harris. Il fatto curioso era che queste altre indagini demoscopiche erano sempre presentate come affidabilissime perché condotte da istituti di ricerca che, immancabilmente, fino ad allora, “non avevamo mai sbagliato una previsione”. Quel che voglio dire è che la notizia del vantaggio di Trump è sempre stata sotto gli occhi di tutti (compresi quelli degli scommettitori, che non si sono fatti distrarre), solo che si è cercato di nasconderla inondandoci di previsioni “alternative”. Poi, che anche i sondaggi siano diventati uno strumento di propaganda, non lo scopriamo oggi. La verità è che, prima del voto, nessuno sa come andrà a finire (a parte l’ippopotamo Moo Deng, ovviamente).
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Caro direttore, permettimi alcune osservazioni a margine della netta e indiscutibile vittoria, inaspettata da chi non voleva vedere e manipolava i sondaggi, di Trump. Si è manifestato, ancora una volta, lo sdegno delle élite nazionali e mondiali, scandalizzate perché il popolo, quello vero, non ha votato come loro avrebbero voluto. A tal proposito, potremmo parlare della presenza di un “elitismo” che si forma in misteriosi salotti e che si esprime nei giornaloni e nei talk show. Nome strano quello di “elitismo”, come, del resto, sono strani altri nomi come “sovranismo” e “populismo”, dei quali non si spiega mai il vero contenuto. Sono termini, in effetti, usati solo per escludere gli interlocutori da ogni dibattito serio e non per affrontare i veri problemi. Le élite, comunque, sono chiuse nei loro privilegi acquisiti nel tempo e fanno di tutto per non abbandonarli. Per questo, hanno creato un vero e proprio pensiero organico, che potremmo definire come “elitismo”, che si oppone ad ogni dialogo con il “sovranismo” ed il “populismo”.
Mi pare che, riguardo alla vittoria di Trump, non venga a sufficienza sottolineato un aspetto che, invece, mi sembra molto significativo. Mi pare, cioè, che il popolo, quello lontano dalle élite ma che vive ogni giorno le fatiche della vita (compreso quello straccione, quello incolto, quello “comune”, quello che vive “le esperienze elementari” della vita) cominci ad essere letteralmente stufo delle idee imposte da ciò che è stato definito come “politicamente corretto” e che si è trasformato in “pensiero unico” indiscutibile e, quindi, tendenzialmente totalitario. Il popolo mi sembra stanco di essere preso in giro da tale pensiero, anche se poi non sa ancora a chi affidare questa propria insoddisfazione. Ma, intanto, negli Usa vota Trump, personaggio discutibilissimo ma comunque sovvertitore, almeno per quello che ha detto finora, di quel pensiero unico. Ma il fenomeno è presente in tutto l’occidente. Basti pensare agli esiti delle più recenti votazioni avvenute in Ue, in Germania, in Austria, in Danimarca, in Olanda e così via. Le varie élite hanno subito tacciato di nazismo e di fascismo i partiti che si sono ribellati al pensiero unico. Vi sono alcuni aspetti per i quali tali preoccupazioni non sono infondate, ma il fenomeno non può essere analizzato così superficialmente, anche perché tale fenomeno sta crescendo. Possibile che l’elitismo non riesca a fare un minimo di autocritica? Possibile che in Ue venga riconfermata una Presidente verso la quale l’elettorato europeo, nel suo complesso, ha dimostrato un grande scontento?
La verità è che le élite tendono a diventare nemiche di ciò che il popolo esprime con il proprio libero voto: ed è questo il vero pericolo per la democrazia. In questo senso, tutte (dico tutte) le forze politiche dovrebbero compiere un profondo esame di coscienza, per cercare di capire quali sono le vere e sane esigenze del popolo e porvi rimedio, in vista del tanto decantato, ma sempre dimenticato, “bene comune”.
In questo contesto, i politici cattolici potrebbero avere una grande funzione purificatrice in questo momento nel quale, ripeto, è così difficile avviare discussioni serie e competenti sui veri problemi del popolo. Il riferimento alla dottrina sociale della Chiesa e ad un metodo esistenziale che privilegia la verità delle cose rispetto agli interessi particolari dovrebbe tradursi in contributi che riescano a superare le beghe di cortile. So che occorre coraggio per questo, ma penso che in un momento così drammatico sia proprio il caso di tirare fuori questo coraggio, una volta per tutte. Se vogliamo sintetizzare anche questo lavoro dei cattolici in uno slogan, potremmo dire che sarebbe ora di rispolverare, in termini moderni, il grande contributo del “popolarismo”, con buona pace di tutti, anche delle élite. Il vero coraggio dei cattolici (anche se vescovi) dovrebbe essere quello di non “conformarsi” al pensiero unico, ma di proporre le grandi novità portate nel mondo dall’annuncio cristiano. Di cui non avere vergogna.
Peppino Zola
Qualche anno fa, rimanemmo molto colpiti da un articolo del professor Giovanni Orsina che, riprendendo una metafora letteraria dello scrittore Stefano d’Arrigo, diceva che oggi si sta allargando sempre di più lo iato tra il “vistocongliocchi” e il “sentitodire”, cioè tra l’esperienza diretta che si fa delle cose e ciò che si apprende perché comunicato da altri. «Se gli uomini qualunque si aggrappano al mondo vissuto è perché non si fidano più dei sacerdoti del mondo pensato, siano essi scienziati, tecnici, burocrati o politici. È perché se ne sentono sociologicamente e antropologicamente non soltanto distinti, ma respinti». È quel che è successo, di nuovo, questa volta. Grazie alla grancassa dei media gli statunitensi hanno “sentito dire” che Trump era un fascista, che avrebbe distrutto il mondo, che avrebbe impedito alle donne di abortire, che avrebbe perseguitato la gente di colore e gli omosessuali e fatto uccidere gli avversari politici. Poi, andavano a fare la spesa e quel che “vedevano con gli occhi” erano i prezzi raddoppiati rispetto a quattro anni prima. Per chi dovevano votare? Per colei che prometteva loro battaglie per introdurre i pronomi gender neutral e faceva le schitarrate con Bruce Springsteen o per chi voleva abbassare l’inflazione?
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Gentile direttore, nel primo discorso dopo la sconfitta della candidata alla presidenza Usa Kamala Harris ha detto: «Non mi arrenderò mai». «Sono molto orgogliosa della nostra corsa» e «mentre io concedo la sconfitta di questa elezione, non concedo la sconfitta alla lotta per la libertà». E continua: «Non mi arrenderò mai, non smetterò mai di lottare per le donne, affinché possano prendere decisioni sul proprio corpo senza che sia un governo a dire loro cosa fare. Non smetteremo mai di lottare per proteggere le scuole e le strade dalla criminalità. E non smetteremo mai di lottare per la democrazia e per la dignità, a cui tutti hanno diritto. La lotta per il nostro Paese vale sempre la pena». “Le decisioni sul proprio corpo” alle quali si riferisce la Harris non sono altro che l’aborto, che tra l’altro riguarda il corpo (cioè la vita) del bambino e non solo il corpo della donna-madre. Una vera e propria ossessione quella dell’aborto per i leader democratici americani, a tal punto da essere rimarcata per prima (l’ossessione) persino nel discorso dopo la sconfitta. Ma la maggioranza della gente comune americana non è d’accordo e, a suo modo, “lotterà” perché questa ossessione non prevalga. Lo ha già fatto col voto del 5 novembre.
Gabriele Soliani
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