Squalo chi legge
Si chiama antisemitismo e non c’è niente da “contestualizzare”
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«Di sicuro gli ebrei sono sotto attacco negli Stati Uniti, nei campus, nelle strade. Criticare Israele è legittimo, ma condannare la natura ebraica di Israele o gli ebrei in generale è diverso. Ho ascoltato proporre l’espulsione di Israele dalle Nazioni Unite, un’enormità senza precedenti, una misura mai evocata per l’Iran o per altre feroci dittature, questa non è critica politica, è antisemitismo».
È in queste parole di Bernard-Henry Lévy, intervistato dalla Stampa il 19 settembre 2024, la ragion d’essere e l’argomentazione principe de La nuova caccia all’ebreo di Pierluigi (Pigi) Battista, giornalista e scrittore oggi in forza all’Huffington Post Italia e collaboratore del Foglio, già firma della Stampa, di Panorama e del Corriere della Sera (di cui è stato vicedirettore). Il libro di Battista è arrivato in libreria il 18 settembre, escludo che Lévy abbia avuto il tempo di leggerlo, così come è certo che il suo autore non abbia potuto vedere in anteprima l’intervista allo scrittore francese. Entrambi arrivano alla stessa constatazione, cioè che, per dirla con le parole di Pigi Battista, «si è lacerata l’ultima membrana, l’ultimo fragile velo che teneva precariamente separati l’antisemitismo e l’antisionismo» (p. 16). Un’inaccettabile «integrale trasfusione dell’antisionismo nell’antisemitismo e nella giudeofobia» (p. 17).
L’incredibilità di quello che sta succedendo
Tutto è iniziato, meglio, re-iniziato, il 7 ottobre 2023. «È da quel giorno», scrive Battista, «che vivo in una condizione di spaesamento, di solitudine, di angoscia, di stupore, di sgomento» (p. 13). Tutti sentimenti che trasudano nel suo scrivere documentatissimo e nello stesso tempo continuamente attraversato – come in un’invettiva – dall’indignazione (parola purtroppo usata a sproposito da troppi per cause che non meritano questo sacrosanto sentimento, Battista mi perdoni) per l’incredibilità di quello che sta succedendo.
E quello che sta succedendo è questo. Di fronte ad affermazioni come «il 7 ottobre il popolo palestinese ha ricordato al mondo di esistere, ha dimostrato che sono ancora i popoli a scrivere la storia»; di fronte a cartelli con Anna Frank con la kefiah; di fronte a cortei in cui risuonano gli slogan «fuori i sionisti da Roma», «apriteci i confini così possiamo uccidere gli ebrei», in cui si inneggia alla “soluzione finale”, in cui si canta «Hamas ti amiamo», in cui si scandisce «ciao nazisti, tornate in Polonia» (per capirci, gli ebrei dovrebbero tornare nelle camere a gas); di fronte a un aumento di contenuti antisemiti su X (ex Twitter) del 919 per cento; di fronte a chi urla che «la Palestina sarà libera dal fiume al mare» (senza saper – tanta è l’ignoranza che li motiva – dire quale fiume e quale mare), cioè che Israele deve sparire dalla cartina geografica; di fronte alla dichiarazione di uno dei leader degli accampamenti antisemiti nelle università americane che recita: dovreste considerarvi fortunati se abbiamo deciso di non ammazzare tutti i “sionisti” (gli ebrei) del campus; di fronte ai fischi agli ebrei in visita ad Auschwitz partiti da un gruppo che sventolava bandiere pro-Pal; di fronte a questo, e a molto altro che Battista documenta con acribia, la sinistra del “mai più”, ritualmente commossa ogni 27 gennaio nel Giorno della memoria, è silente. E camuffa la sua connivenza dietro l’insulsaggine del “bisogna contestualizzare”.
«Il Signore ha ribrezzo per loro»
Battista si prende la briga di “contestualizzare”, e va indietro nel tempo: dagli accordi di Camp David rifiutati da Yasser Arafat alla guerra del 1967, dalla risoluzione delle Nazioni Unite del 1947 (due Stati per due popoli) alla “disoccupazione” di Gaza del 2005; non dimentica nulla, neanche le stragi a opera dell’esercito israeliano, e arriva sino all’“arche-negazionismo”, cioè all’affermazione che «non è vero che ci fu qualcosa di ebraico che abbia preceduto la costruzione della moschea Al-Aqsa e la Cupola della roccia» sul Monte del tempio (p. 72), quindi Israele si astenga da ogni scavo archeologico attorno alla Spianata delle moschee e la smetta di vantare radici mai piantate su quella terra.
Nella sua opera di “contestualizzazione” Battista si appella a un certo punto all’autorità di Amos Oz, scrittore non certo tenero con Netanyahu, che così racconta l’atmosfera che si respirava tra il fiume e il mare prima della famosa risoluzione Onu, riportando le parole del predicatore della grande moschea di Giaffa:
«Gli ebrei non sono affatto un popolo e nemmeno una religione propriamente – tutti sanno infatti che il Signore pietoso e misericordioso ha ribrezzo per loro e per questo li ha condannati a essere maledetti e odiati per sempre in tutte le terre della loro dispersione –; cocciuti che non sono altro, questi giudei, il Profeta ha teso loro la mano e loro ci hanno sputato sopra. Non per niente i popoli dell’Europa hanno deciso di sbarazzarsi di loro una volta per tutte, e adesso l’Europa sta macchinando per scaraventarli tutti da noi, ma noi, gli arabi, non permetteremo ai popoli dell’Europa di gettarci addosso il loro letame. Noi arabi tratteremo a fil di spada questa congiura satanica per trasformare la Terra Santa in Palestina nel bidone della spazzatura per tutte le schifezze del mondo» (p. 44).
I più colpevoli dei colpevoli
Rileggere queste parole oggi e accostarle al «nazisti, tornate in Polonia» conduce Battista a parlare di «sconsacrazione dell’Olocausto», l’unicum della storia ormai banalizzato e risucchiato nell’indifferenza «nel cuore delle classi dirigenti (tra i miei amici, tra i nostri amici, tra i vostri amici, se poso dire)» (p. 76).
Perché? C’è un passaggio del libro che indirizza verso una risposta: noi occidentali del Ventunesimo secolo «siamo malati perché ci consideriamo colpevoli di ogni nefandezza. E gli ebrei, e Israele, i più colpevoli dei colpevoli» (p. 50).
Pigi Battista è fieramente laico, ma credo sottoscriverebbe queste parole di Joseph Ratzinger, il papa teologo che parlava di Gerusalemme come della prima radice d’Europa:
«C’è un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì, in maniera lodevole, di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più sé stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di sé stessa, se vuole davvero sopravvivere».
Pierluigi Battista, La nuova caccia all’ebreo, Liberilibri, 2024
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