Dove sei stato mio bell’Alpino? A lezione contro le molestie
Gli alpini dormono nelle buche di neve, vanno in Afghanistan a dar la caccia a Bin Laden, nessuno ha truppe di montagna come i nostri alpini: li vogliono in Kosovo, Libano, Haiti, li volevano in Eritrea, Somalia, Russia, erano sotto la diga del Vajont, sulla terra squassata dal sisma del Friuli, erano in Valtellina quando l’acqua seminò morte e terrore, ci sono quando terremoti e alluvioni divorano la penisola, si calano dagli elicotteri per recuperare feriti sotto le valanghe, soccorrono i profughi, sono addestrati al peacekeeping, alle emergenze. E presto sapranno anche riconoscere un «complimento sgradito» da una «molestia sessuale».
Gli alpini fanno la guerra ma anche autocritica
Se pensate che andare in guerra o salvare la pelle al prossimo sia, non diciamo più importante ma almeno “diversamente notiziabile” rispetto alla decisione dell’Associazione Nazionale Alpini di «fare autocritica» sui loro «comportamenti molesti» all’ormai famigerata adunata di Rimini, allora siete gente di destra, partner in crime della cultura dello stupro e non vi interessa nulla dei sette milioni di donne che tra i 16 e i 70 anni ha subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale.
Vietato anche solo avanzare l’ipotesi che mettendo tutto sullo stesso piano il dramma degli abusi e delle violenze sessuali rischi di annegare in una notte in cui tutte le vacche sono nere: fare mea culpa è una skill prioritaria ai tempi del Metoo, inginocchiarsi sui ceci e dirsi maschi tossici (o bianchi, colonialisti, razzisti) una questione di sopravvivenza ad ogni latitudine.
Il peccato di aver combattuto l’Armata Rossa
Non fanno eccezione gli alpini, soldati, pensionati, simpatizzanti che siano, anzi: archiviazione non è assoluzione, scrissero i giornali quando la pm di Rimini la richiese per l’unica denuncia che aveva portato all’apertura di un fascicolo contro ignoti dopo l’adunata; le testimonianze (anonime) delle “vittime” di fischi, battute e apprezzamenti volgari degli alpini potevano trovare spazio altrove, sul portale “oltre l’adunata” realizzato dalle attiviste di Non una di meno e Autodifesa Transfemminista.
La situazione precipitò con l’avvicinarsi della prima Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini e dalle accuse di manomorta si passò alla Shoah: come si fa a celebrare la ricorrenza della battaglia di Nikolajewka il 26 gennaio e il 27 gennaio il Giorno della Memoria? Celebrare un giorno lo scontro contro l’Armata Rossa e quello dopo il momento in cui l’Armata Rossa abbatté i cancelli di Auschwitz?
L’alpino invasore e l’alpino molesto
Come dimenticare – è il succo di tanti articoli pubblicati negli ultimi giorni, nonostante la data della ricorrenza non l’avesse stabilita nessun alpino bensì lo scorso parlamento all’unanimità – che: alpino uguale invasore; uguale alleato dei nazisti; uguale retorica della battaglia di Nikolajewka, della commemorazione dei caduti e dei sopravvissuti quali vittime ed eroi senza macchie e responsabilità; uguale mito alimentato da fascisti, leghisti, sovranisti, ma soprattutto, dimenticare che alpino uguale molestie a Rimini? Esaurita l’operazione “Con gli alpini ti vaccini” tanto amata in pandemia, agli alpini non restava che una via per uscire dal pantano: dar ragione ai giornalisti, dire «ad alta voce quello che noi abbiamo raccontato dall’inizio», «Tutte le preoccupazioni del nostro lavoro come giornalisti, e come esseri umani, oggi hanno avuto una risposta grazie alla presa di posizione finalmente chiara da parte dell’Ana, l’Associazione Nazionale Alpini» (Fanpage).
E così, invertendo l’operazione primaverile “colpire chi ci ha offeso” (in sostanza querelare chiunque avesse diffamato e disonorato il nome degli alpini), in vista della prossima adunata di Udine il presidente e il responsabile della comunicazione Ana hanno virato sul patteggiamento, chiesto «la collaborazione di tutti, anche dell’associazione Non una di meno» per aiutare gli alpini essere «parte della soluzione, non del problema». Applausi a sinistra e non solo, «lode agli alpini, che sfidando il luogo comune del loro presunto essere rudi uomini di montagna vanno invece nella direzione giusta: quella di un cambiamento radicale della società – e degli individui – nel rapporto maschio-femmina» (il Giornale).
Alpini a lezione contro le molestie
Gli alpini dormono nelle buche di neve, vanno in Afghanistan eccetera, ma soprattutto oggi hanno anche loro un sito, controlemolestie.it. Hanno deciso di seguire dei corsi per imparare a distinguere la goliardia dalla molestia e curare il loro, ma non solo, “problema culturale”. Lo hanno fatto arruolando una “strategist digitale” esperta nella decostruzione di stereotipi di genere che li aiuti ad affrontare il loro problema a partire dalle “basi” proponendo loro “esempi”. Hanno annunciato la missione: presto 330 mila associati all’Ana, ottanta sezioni e presidenti di sezione, seguiti da una commissione di esperti sapranno distinguere i «complimenti sgraditi» dai «gesti malsani e non più tollerabili» e porteranno il cambiamento «al maggior numero di uomini possibile».
E a proposito di distinguo ed emergenze, sappiamo che ora gli alpini sono in stato di preallerta per raggiungere e portare aiuto a Turchia e Siria («la disponibilità, ovviamente, è la nostra solita di sempre. Attendiamo disposizioni» fanno sapere dall’Ana scaligera). Giornalisti permettendo, ovviamente.
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