Gli alpini e il “uòcche de noantri”
Caro direttore, 19.20 di martedì 10 maggio, uno dei tg Rai (non ricevo Mediaset dall’antenna, complottooo!) salta dal tema guerra al caso alpini a Rimini senza neanche un collegamento degno di Mentana, primo segno di irrequietezza del giornalista. Che ha una fretta spasmodica di interrogare, inquisire piuttosto, processare a priori il referente dell’Ana (Associazione nazionale alpini) sui fatti avvenuti all’ultimo raduno.
Il giornalista esordisce così: «A Rimini avete fatto proprio una bruttissima figura». Li chiama “fatti”, a ragion “non” veduta però: evoca un servizio di Fanpage, costruito alla bisogna per montare appunto un casus. È già infervorato, il contraddittorio è predisposto tra una dipendente d’albergo e il suddetto presidente. La prima accusa di violenza una dozzina di ubriachi, rei di aver cantato «vieni a fare la doccia con noi». Nel servizio di Fanpage ci sono anche gli interventi di due minorenni (“uàu! Fanpage! Ho il trucco sbavato? Sono a posto?”) che sostengono di aver risposto «fai schifo, potrei essere tua figlia» (come se nel mondo di oggi questo divario di età nelle coppie rappresentasse una rarità) ad un vecchio alpino che ha offerto loro un abbraccio.
Il referente Ana, da parte sua, non si giustifica ma nemmeno si scusa, correttamente mostra immediata disponibilità a “cacciare” chi dovesse essersi responsabile accertato di codesti avvenimenti. «Quindi nega i fatti? Guardi che ho visto il video, io» arringa il giornalista, che poi chiuderà il servizio con toni meno saccenti di fronte all’eleganza educata del presidente che mantiene il dialogo sul livello della ragionevolezza.
Non mi dilungo in altri dettagli che tutti siamo in grado di ricostruire, ma qualche domanda me la faccio.
Cosa ci fanno due belle (non è dato sapere perché il viso è ipocritamente glossato) minorenni con una birra media (sarà la prima?) in mano in mezzo ad un raduno di alpini? Certo che si può, ma anche andare nella fossa dei leoni vestiti di nerazzurro non è vietato.
Che ci fanno sui carri degli alpini orde di quindicenni, maschi e femmine, che salutano la videocamera con gesti tipici dei rapper di oggi?
Cosa possono aver fatto gli alpini che non avrebbero potuto fare quei bei 18-20enni (quelli sì) che fanno davvero i brillanti con le ragazze nel video?
Ma soprattutto: dove è cresciuta questa pioniera del wokismo italiano? Sembra uscita da un’università americana.
In pochi minuti la receptionist rivierasca parla di catcalling, molestie, maschilismo, patriarcato (italiani che considerano la donna un oggetto da trattare come vogliono), addirittura violenza razziale. Ancora poco e ci avrebbe premiato con un “l’utero è mio e quindi black lives matter”.
Sono stato alpino, a naja intendo. Non parlo per ossessive prese di posizione, ma per esperienza. Posso garantire alla signora che se tra alpini uno beve troppo e dà fastidio ad una “civile” (ammesso che i compagni glielo permettano) viene preso per il colletto, “cazziato” e punito in caserma prima dai commilitoni messi in pericolo ed eventualmente dai superiori, se la cosa si viene a sapere.
Negli anni Novanta, Belluno aveva una decina di caserme, il centro era pieno di alpini, in divisa ed in borghese. Non accadde mai nulla. Per tanti neropennuti in cerca di storie d’amore, altrettante ragazze erano in cerca di alpini.
Questo solo per dire che la festa degli alpini è degli alpini. Ed è sempre stata e sarà una festa. La differenza di quest’anno è che, per la prima volta, probabilmente in Italia, si è voluto colpevolizzare un evento identitario, tradizionale, storico, unificante tutte le nostre regioni come solo i mega concerti riescono oggi a fare.
Sono atterrito a dir poco. Questa controcultura non ci appartiene, siamo già sufficientemente divisi su guerra, vaccini, green pass, calcio e quant’altro, non abbiamo bisogno di “uòcche” o “chensel calcia”.
Al prossimo rədun*
Roberto Zandomeneghi
Foto Ansa
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