Dall’Alitalia all’Ilva, sarà un altro anno bruttissimo
La notizia numero uno di ieri era che Atlantia non ha presentato alcuna offerta per Alitalia perché non ci sono le condizioni per creare un consorzio che si faccia carico della compagnia aerea. La notizia numero due era che la Guardia di finanza ha perquisito le sedi di ArcelorMittal, aggiungendo casino al casino, mentre il governo Conte boccheggia alla ricerca di una soluzione diversa dalla chiusura per l’ex Ilva.
La notizia numero uno ha a che fare con la notizia numero due perché, in entrambi i casi, è chiaro che il governo brancola nel buio, che da anni l’Italia non ha una politica industriale efficace e credibile, che la magistratura fa il bello e il cattivo tempo, incurante delle conseguenze sociali ed economiche del suo agire.
Buttare via i soldi per Alitalia
Oggi scade il termine per le offerte per Alitalia. E la holding controllata dai Benetton ha informato che «allo stato non si sono ancora realizzate le condizioni necessarie per l’adesione della società al Consorzio finalizzato alla presentazione di un’eventuale offerta vincolante su Alitalia». Senza giri di parole significa questo: né Atlantia né Fs, che al pari delle della prima, secondo i progetti, dovrebbe rilevare il 30-35 per cento della newco, hanno alcuna intenzione di buttare via i soldi nella voragine della compagnia aerea italiana. Ed entrambe lamentano l’assenza di un vero piano industriale, perché i possibili partner o impiegano pochi capitali (Delta solo 100 milioni) o sono molto freddi (Lufthansa sta alla finestra). Quindi dovrebbe intervenire di nuovo lo Stato, metterci dei soldi, e decidere di non decidere, rimandando per l’ennesima volta.
La Gdf da Mittal
Sempre più grottesca, intanto, la situazione dell‘Ilva. L’altro giorno la Guardia di finanza ha perquisito gli uffici Mittal a Milano e a Taranto. Le ipotesi di reato sono pesantissime: aggiotaggio, appropriazione indebita, false comunicazioni al mercato. Fosse tutto vero, amministratori e azionisti di Mittal rischierebbero l’arresto. Secondo voi, che conseguenze può avere una simile azione sul gruppo franco-indiano, leader mondiale degli acciai, con un fatturato di 80 miliardi all’anno? E posto anche che sia tutto vero e che l’azione della magistratura sia lecita, che immagine diamo del paese ai futuri investitori?
Cdp e il risparmio degli italiani
Il governo ha un piano, si dice, che prevederebbe l’intervento di Cassa depositi e prestiti (Cdp), la quale, con Mittal, entrerebbe in una newco per rilanciare l’Ilva.
Problemino numero uno: Cdp, per statuto, non può investire in aziende in perdita e le fondazioni bancarie sono nettamente contrarie a un intervento. In una intervista ieri alla Stampa l’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria ha detto quel che tutti sanno:
«Investire in aziende come Ilva non è fra i compiti della Cassa. Cdp non può essere utilizzata per interventi di cui non è sicuro il risultato. Occorre essere molto cauti, c’è in palio il risparmio postale degli italiani».
Il solito “prestito ponte”
Poiché il problemino numero uno è ben chiaro ai nostri governanti, sui giornali hanno fatto filtrare l’immancabile Piano B che consiste, indovinate, in un “prestito ponte” «di alcune centinaia di milioni di euro, almeno 400 per alcuni, e intanto la ricerca di un supercommissario che gestisca una fase di transizione in attesa di una nuova gara e della ricerca di un nuovo acquirente sul mercato». Dato che l’Ilva perde 2 milioni al giorno, significherebbe che il “prestito” (parola inadeguata, lo sappiamo per l’esperienza Alitalia) terrebbe in vita l’acciaieria per 6 mesi e spiccioli. In attesa di nuovi acquirenti, quali? Se abbiamo fatto scappare il colosso multinazionale, chi altro si potrebbe mai fare avanti? Il supercommissario (l’ennesimo) che mai potrà fare?
La questione giudiziaria
E poi c’è il grande tema del cosiddetto “scudo fiscale”. Mittal o non Mittal, se non lo rimettono, nessuno si prenderà (e giustamente) l’Ilva. Ma poiché sulla questione c’è uno scontro interno ai grillini, lo scoglio è difficilmente superabile.
Ultima, ma non ultima, la questione giudiziaria. Notava giustamente ieri sulla Stampa Marcello Sorgi (“Il peso delle toghe nella gestione delle crisi”):
«Se [i vertici di Mittal] sono imputati di reati talmente gravi, infatti, a quale titolo il governo potrebbe offrire loro collaborazione e aiuti per consentire all’acciaieria di andare avanti? La Cassa depositi e prestiti, che su richiesta di Conte sta valutando la possibilità di intervenire con i propri mezzi finanziari, gli stessi commissari che avevano gestito l’impianto fino a prima del subentro di Arcelor-Mittal, e adesso ne hanno denunciato l’intero nuovo vertice, dovrebbero collaborare con coloro che i magistrati considerano i responsabili del baratro in cui sta per cadere l’Ilva. L’intervento dei giudici naturalmente è legittimo: ma indirettamente fornisce la prova che senza lo scudo penale, introdotto dal Conte 1 e cancellato dal Conte 2, l’Ilva è ingestibile».
Finirà male
Sarà un caso, ma non è un caso, ma negli ultimi anni ogni qual volta una grande opera (Mose, Tav) o una grande azienda (Alitalia, Ilva) ha incrociato sulla sua strada la magistratura e l’ideologismo anti-sviluppista della sinistra e dei suoi figli grillini, è finita male. Finirà male anche stavolta.
Foto Ansa
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