Al lavoro per migliorare il lavoro. Dellabianca spiega il Manifesto della Cdo

Di Peppe Rinaldi
17 Novembre 2024
Presentati a Roma i cinque punti della Compagnia delle opere per rispondere alle nuove urgenze di una società dove a mancare non è più tanto l’occupazione, ma il senso di quello che si fa
I relatori intervenuti alla presentazione del “Manifesto del Buon Lavoro” martedì 12 novembre 2024 a Palazzo Madama. Da sinistra, Francesco Seghezzi, presidente Adapt, Luigi Sbarra, segretario generale Cisl, Maria Teresa Bellucci, viceministro del Lavoro, Andrea Dellabianca, presidente Cdo, Marco Bernardi, presidente Illumia
I relatori intervenuti alla presentazione del “Manifesto del Buon Lavoro” martedì 12 novembre 2024 a Palazzo Madama. Da sinistra, Francesco Seghezzi, presidente Adapt, Luigi Sbarra, segretario generale Cisl, Maria Teresa Bellucci, viceministro del Lavoro, Andrea Dellabianca, presidente Cdo, Marco Bernardi, presidente Illumia

«Sono molto soddisfatto dell’iniziativa organizzata lo scorso 12 novembre al Senato, tra l’altro in uno scenario bello e suggestivo come la Sala Caduti di Nassirya di Palazzo Madama e proprio in concomitanza dell’anniversario del tragico evento che vide l’Italia colpita in Iraq durante la guerra del Golfo». Lo dice a Tempi Andrea Dellabianca, presidente nazionale della Compagnia delle opere. Il riferimento è alla giornata di riflessione e confronto organizzata dalla vicepresidente del Senato Licia Ronzulli, con la partecipazione del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Marina Calderone, del segretario generale della Cisl Luigi Sbarra e dell’imprenditore Marco Bernardi (Illumia).

“Manifesto del buon lavoro” era il titolo dell’iniziativa, quasi a indicare i passi necessari da compiersi – tra politica, istituzioni, imprese e corpi sociali – perché il mondo del lavoro trovi una dimensione adatta alla sfide della contemporaneità. Cinque i punti “programmatici” messi in fila dai promotori, a cui va riconosciuto quanto meno il merito di muoversi con coraggio e originalità su un terreno in genere caratterizzato da forti conflittualità: analisi del contesto attuale; cause del «cattivo lavoro»; la persona e la sua libertà come strumento primario per la crescita collettiva; riscoperta del «buon lavoro»; le tappe di questa nuova consapevolezza da individuarsi in dieci «mosse» essenziali per la riuscita e il successo della sfida (qui il testo integrale del manifesto firmato Compagnia delle opere). Si direbbe che sia un “vaste programme”, ma ciò non toglie che sia la strada giusta da battere alla luce delle gigantesche trasformazioni in corso nella società.

Presidente Dellabianca, è soddisfatto dell’iniziativa organizzata il 12 novembre scorso a Palazzo Madama?

Assolutamente. Sono stato molto contento perché abbiamo cominciato a individuare e apprezzare dei compagni di strada importanti, sia tra i corpi sociali che tra le istituzioni, su un tema centrale come quello del lavoro.

Come si legge nel Manifesto, prima il nemico numero uno era sempre individuato nella disoccupazione, con tutto ciò che questo comporta in termini di ricaduta sulla società e sull’economia; oggi registriamo, tra l’altro, fenomeni diversi nel mondo del lavoro: burn-out, malessere, esodi vari, eccetera. Sono due facce di una stessa medaglia?

La disoccupazione nasce da una mancanza di valore economico, l’insoddisfazione nasce invece da una mancanza di senso. La prima ha una connotazione spesso territoriale, circoscritta direi, mentre la seconda interroga chiunque, cioè qualsiasi operatore economico indipendentemente dalle condizioni oggettive date.

La conferenza stampa di presentazione del “Manifesto del Buon Lavoro” in Senato martedì 12 novembre 2024

Prima del lavoro c’è la scuola, la formazione in senso lato. Nel convegno avete affrontato anche questo aspetto, più volte citato nei punti programmatici del Manifesto: in base alla sua esperienza le imprese italiane quanto scontano il “gap” tra educazione e lavoro e in che termini?

La formazione è il primo passaggio in cui le persone acquisiscono competenze, crescono e ciò deve continuare nell’azienda. Questo legame deve essere riagganciato, non solo nell’università ma anche nella formazione tecnica e professionale, un mondo in cui le imprese devono immergersi soprattutto perché la sfida educativa riguarda tutto il tema della persona e dei giovani che devono essere inseriti. Questo rapporto oggi sta nascendo, ad esempio con la formula degli istituti ”4+2” [gli anni del ciclo di studi, nda] e questo secondo noi è un percorso virtuoso cui guardiamo con molto interesse. Tra le nostre scuole, ad esempio a Milano, c’è l’esperienza dell’Istituto tecnico-sperimentale intitolato a Carlo Acutis che mette insieme scuole diverse, dove questo approccio sta producendo risultati davvero incoraggianti.

Quale è la differenza sostanziale della vostra proposta rispetto alle diverse opzioni offerte nell’ambito del dibattito pubblico?

Quello che diciamo noi, ripeto, è che bisogna mettere la persona al centro. Se intorno a noi si sviluppano relazioni che hanno ancora la crescita umana e professionale come faro, partendo dai percorsi scuola/formazione, ecco che anche il soggetto si troverà ad essere portato naturalmente a crescere. Tutto ciò deve tornare al centro della sfida delle aziende e si può tradurre anche in tentativi di applicazione concreta. Certo, sappiamo che queste cose non risolvono il tema della soddisfazione lavorativa ma è anche giunto il momento per fare verifiche decisive.

Perché, secondo lei, la proposta di legge della Cisl sulla partecipazione dei lavoratori alla cosiddetta “governance” aziendale potrebbe offrire una buona risposta al problema?

Intanto perché è un’iniziativa popolare e questo rappresenta un merito in sé; dall’altro lato perché questo cambiamento, questa voglia di partecipare non solo alla singola attività che il dipendente svolge ma a tutta la vita dell’azienda, è una modalità che riconosce che anche i lavoratori possono far crescere l’impresa coinvolta. Durante l’incontro nella Sala Nassirya del Senato abbiamo anche presentato l’esperienza diretta di un imprenditore, Marco Bernardi di Illumia, che ha raccontato come nuovi progressi aziendali possono nascere pure dai suggerimenti provenienti dal nuovo attore coinvolto, cioè i lavoratori. La Cisl, lodevolmente, ha spostato l’asse dalla tradizionale conflittualità tipica del sindacato a una dimensione di collaborazione per la crescita. La vediamo perciò con molta simpatia.

L’incidenza del crollo demografico sul mercato del lavoro non è scoperta di oggi: quanta consapevolezza reale c’è di questo “guaio” nel mondo delle imprese?

Purtroppo è vero, non si tratta più di previsioni, il fenomeno è già la realtà: oggi abbiamo un’occupazione forte – se ben ricordo sono circa 24 milioni i lavoratori attivi –, ma purtroppo le prospettive di crescita si scontrano con la mancanza di figure adeguate perché le persone che escono dal mondo del lavoro sono già oggi il doppio di quelle che entrano e questo è un gran problema. È per questo che già oggi molte aziende sono in seria difficoltà a trovare il personale che cercano, spesso in aree specifiche del paese e del territorio con un alto costo della vita. È necessario perciò attuare politiche che spostino le risorse in favore delle nascite: questo per noi è un tema assolutamente chiaro e prioritario.

La Cdo ha un suo preciso tratto identitario che la differenzia da altre associazioni di categoria: su questo terreno avete trovato ascolto da parte del governo attuale?

Io sono stato eletto a gennaio, prima presiedevo la Compagnia delle opere di Milano, pertanto non ho esperienze dirette di ciò che accadeva prima. Posso dire che oggi abbiamo ripreso una capacità di confronto e di proposta. Peraltro noi non abbiamo contratti sindacali o contratti di lavoro su cui confrontarci con le parti che sono normalmente protagoniste sul tema, quindi a differenza delle altre associazioni siamo più liberi di suggerire. Aggiungo che la politica e le istituzioni coinvolte, già quando abbiamo iniziato a parlarne al Meeting, si sono mostrate molto disponibili.

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