
Puglia, l’acqua pubblica non è gratis: Vendola «alza le tariffe»
Per il governatore della Puglia Nichi Vendola la privatizzazione dell’acqua è «una bestemmia in chiesa». L’acqua, invece, è «un bene comune dell’umanità, un diritto di tutti non assoggettabile a logiche di mercato». Ora però qualcosa è cambiato. La proprietà dell’Acquedotto Pugliese (Aqp) è passata completamente nelle mani della Regione Puglia, che ha acquisito anche le azioni, pari al 12,78%, detenute dalla Regione Basilicata. E quando si tratta di far quadrare i bilanci tocca essere realisti. Per usare le parole di Vendola: «E’ necessario fare i conti con la realtà, per non precipitare nei burroni della demagogia: sull’acquedotto pugliese abbiamo deciso di intraprendere la strada dell’efficientamento e su quella proseguiremo. Per questo non abbasseremo le tariffe».
È quanto ha detto ieri nel corso della presentazione del bilancio di esercizio 2010 dell’Aqp, che si è chiuso con un utile di circa 37 milioni di euro. Ma la partita è delicata, come ha spiegato il giornalista del Corriere Sergio Rizzo, in tempi non sospetti: “Vendola sa quello che ha trovato all’Acquedotto pugliese, il più grande d’Europa e interamente pubblico, quando è arrivato alla Regione: perdite che sfioravano il 50%, morosità alle stelle, produttività sotto i tacchi. Basta leggere il bilancio: per tamponare le perdite, in tre anni si è dovuto intervenire in 143 Comuni e sostituire qualcosa come 300 mila contatori”.
Dove sta il problema? Il decreto Ronchi consentiva al gestore (pubblico o privato) della rete idrica di fare profitto e caricare sulla bolletta dei cittadini al massimo il 7% del capitale investito. Dopo la vittoria del sì al referendum, e la conseguente cancellazione della norma, come richiesto a gran voce dallo stesso Nichi Vendola è alla Regione che spetta l’ultima parola: il governatore può scegliere se lasciare gli interessi sugli investimenti in bolletta o eliminarli. Vendola ha scelto di non abbassare le bollette, come se il referendum non fosse mai avvenuto. Il motivo è semplice: le risorse servono a coprire il debito della regione. Politicamente, però, è uno scivolone. E soprattutto: perché non è stato specificato agli elettori prima del referendum? «Nessuno me l’ha chiesto» ha risposto Vendola.
Le reazioni non si sono fatte attendere. «Chiameremo a raccolta tutte le associazioni dei consumatori, tutti i movimenti dell’acqua pubblica, tutti i cittadini pugliesi che non intendono farsi prendere in giro da Vendola. Dopo averli illusi e ingannati, adesso dice che in Puglia la bolletta dell’acqua non solo non sarà diminuita del 7% ma dovrà aumentare». Lo afferma in una nota il vice capogruppo vicario del Pdl alla Regione, Massimo Cassano. «Come si può prendere in giro i cittadini in questo modo? Prima parla di acqua pubblica, prima chiama il popolo al voto referendario per eliminare il 7% dalle bollette idriche e ora dice che lui in Puglia non lo farà perché deve fare i conti con la realtà? Ma questo è quello che dicevamo noi chiedendo alla gente di non andare a votare o di votare No al referendum, perché senza quel 7% in bolletta l’Acquedotto non avrebbe potuto più fare investimenti».
Nei prossimi giorni sono previste diverse iniziative per chiedere al presidente di essere coerente con se stesso e con il voto referendario dei cittadini. Nel frattempo, le bollette aumentano anche nella rossa Emilia Romagna, cioè la regione dove si è registrata l’affluenza più alta al referendum. Il servizio idrico è infatti gestito da Hera, società a controllo pubblico: un 3,5% era stato aumentato in vista del referendum, e presto arriverà un altro 3,5%. Hera è una multiutility i cui manager appartengono all’area politica del partito democratico. Oltre al danno, la beffa.
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