
Accidenti a Napolitano, il vecchietto che ci ha smontato la democrazia del web
Mio caro Malacoda, come al solito abbiamo sottovalutato il fattore umano. Non il romanzo di Graham Greene, la cosa in sé. Le lunghe fortune del sociologismo, la convinzione che è l’ambiente a formare il carattere, il determinismo sociale che toglieva ogni responsabilità all’individuo, la quasi sparizione del concetto di colpa (tenuto in vita solo per sacerdoti pedofili e politici ladri) ci avevano inconsapevolmente convinti che effettivamente andavano così anche le cose: le forze che determinano l’assetto sociale indirizzano inevitabilmente anche le decisioni dei singoli. Fior di “scienziati” ci avevano spiegato che l’anima non esiste e che la libertà, come l’innamoramento, è un processo chimico-elettrico-neuronale. Abbiamo finito col crederlo, e abbiamo sostituito la realtà con le nostre proiezioni mentali.
Di più, ci siamo costruiti una realtà a nostra immagine e somiglianza. Abbiamo anche trovato lo strumento che ci giustificava in questo sogno: la Rete, il popolo del web, la e-democrazia. In Italia la vicenda sembrava funzionare alla grande, il candidato di 4.677 persone era diventato “il candidato degli italiani”, il suo nome era ritmato da una piazza, diventata per estensione “le piazze del Paese”. 10,100,1000 persone invadevano virtualmente tutte le case degli italiani grazie a 1, 2, 10 giornalisti che le inquadravano adoranti e le moltiplicavano con la loro cinepresa. Forse per la prima volta dopo la fine delle ideologie un’opinione (non oso dire un’idea perché anche se sono un diavolo conservo un po’ di rispetto per la mia intelligenza) è tornata prepotentemente e collettivamente a sostituirsi alla realtà. Con la seria prospettiva di ottenere il risultato sperato: dividere, dividere, dividere.
Poi è successo l’imprevisto, il classico granello di sabbia che blocca il meccanismo. Un uomo, uno solo, vecchio in un mondo di rottamatori e di nuovisti, ha detto sì. E ha rovesciato il tavolo. Con una decisione libera e autonoma, perché presa davanti a una responsabilità personale e storica e non a un quadro politico, ha ridato possibilità di dignità alla politica. È stata di più della soluzione di un problema, è stato il ritorno della realtà. Per noi è la sconfitta più cocente, anche perché rimediata a un passo dal traguardo, ma dobbiamo ancora una volta ammettere che aveva ragione Dostoevskij: la realtà è testarda, puoi nasconderla con illusionismi vari, poi basta un bambino che urla: “Ma il re è nudo!” (e un vecchio libero è un bambino con i più esperienza e autorevolezza) e la costruzione che pareva scintillante di fascino crolla.
Non solo a Dostoevskij, dobbiamo dar ragione anche a quel bambinone di Chesterton, che ci ha sgamati quando ha detto che «solo la creazione di Dio è un’opera materiale, quella del diavolo è puramente spirituale». Continuiamo a riempire di sogni la testa degli uomini sfruttando la verità del loro desiderio – la lotta alla corruzione è sacrosanta, il purismo della trasparenza assoluta ne è il primo affossatore – ma inevitabilmente prima o poi l’uomo che è adombrerà l’uomo che pretende di essere.
Ci è capitato questo Giorgio Napolitano in mezzo ai nostri progetti. Datti da fare, non sia mai si realizzi quell’altra convinzione del Nemico, «bonum diffusivum sui». Di contagioso ci deve essere solo la malattia, soprattutto quella forma di demenza adolescenziale tipica dei grilli che, come la mucca pazza, ha trovato il modo di trasmettersi all’uomo. Riprenditi.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche
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