A che gioco abbiamo giocato? Dalle Cinque stelle all’Italia in stallo

Di Luigi Amicone
12 Marzo 2020
Decenni di show manettaro e antipolitico ci hanno regalato il trionfo di un partito pulito, ma così pulito, che nel nome della lotta alla corruzione ha fermato tutto. Con quale risultato? Il taglio dei deputati “fannulloni”? Senti chi parla
Beppe Grillo e Luigi Di Maio in campagna elettorale per il M5s

Articolo tratto dal numero di marzo 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

L’unico titolo onesto che ho trovato nell’ultimo mese di informazione nel paese più sfigato d’Europa (-0,2 di Pil atteso nel 2020) e più vecchio del mondo (peggio di noi sta solo il Giappone) è quello del Sole 24 Ore. Venerdì 21 febbraio, a tutta pagina: “Italia ferma, dilaga la cassa integrazione”. Questa è la fotografia 2020 del nostro Belpaese. Quarta potenza economica mondiale ancora nell’anno 1991, quando venuto giù il Muro di Berlino si affacciavano le prime inchieste sui finanziamenti illegali al Partito comunista italiano (“Sul Pci putiferio inutile”, Repubblica, 15 ottobre 1991); dopo di che, brusca virata della “magistratura democratica”, al principiare del 1992 scattano le retate di “mani pulite” che cancelleranno tutti i partiti della Prima Repubblica cosiddetta: fatta eccezione, naturalmente, per il Pci (poi Pds poi Ds poi Pd poi, forse, non si sa bene, Sardine alla bolognese o polpo e broccoli alla romana).

Per farla breve, dopo quasi trent’anni di cura da cavallo giustizialista, con “Italia ferma” siamo arrivati al partito totale delle “mani pulite” totali. Ma così totali, che per concentrarsi sulla “Spazzacorrotti” e sull’abolizione della prescrizione, sull’adozione del trojan (lo strumento di intercettazione totale) e sull’attribuzione ai procuratori capo del potere di decidere arbitrariamente quali soggetti privilegiare nell’esercizio dell’obbligo di azione penale, hanno sacrificato la vita, il lavoro, l’Italia reale. Flat tax, pace fiscale, taglio delle tasse, Ilva, grandi opere, trivelle in Adriatico… Insomma, per dirla ancora con il Sole 24 Ore, «al Sud incremento della cassa integrazione del 90,7 per cento». “Italia ferma”. Un bel partito. Pulito, ma così pulito, che ha fermato tutto.

Il “populismo” che non puzza

Ve lo ricordate Aldo Agroppi, ex calciatore divenuto spumeggiante commentatore tv sportivo? Facevano molto effetto le sue chiacchiere e idee di gioco rivoluzionarie. Lo chiamarono ad allenare la Fiorentina. E la Fiorentina, da seconda in classifica che era il 3 gennaio 1993 (con Gigi Radice), a maggio (con Agroppi) sprofondò in serie B. Un po’ come l’Italia con questi eroi del Vaffa. Hanno riempito le piazze al grido “Onestà a noi! Sono tutti corrotti!”. Sono diventati il primo partito e hanno stravinto le elezioni. Dopo di che, non appena sono andati al governo, l’Italia è retrocessa in Africa. A cominciare da Roma. Non è un bel ricordare il ministro degli Esteri Giggino a novanta gradi sulla Via della seta. L’inchino a sua maestà Xi Jinping (che chissà perché Di Maio chiamava «l’amico Ping»). Il regalo al capo del Partito comunista cinese della maglia della nazionale italiana. Il silenzio dei cacasotto davanti alle rivolte popolari di Hong Kong contro il totalitarismo di Pechino.

Adesso siamo alla vigilia del referendum. E cosa ricevo a stretto giro di catena di sant’Antonio? «Cerco adesioni per una proposta di legge che preveda l’aumento dei parlamentari italiani (cinquecento senatori e mille deputati) e dei loro emolumenti (20 mila euro al mese)». Quasi quasi ci sarebbe da farci il tormentone primaverile tattico nucleare all’ironica guasconata di Mauro della Porta Raffo, Gran Pignolo esperto di tecnicalità democratiche. In effetti, ci sta il taglio dei deputati e senatori. Però non ci sta la applauditissima motivazione addotta dal suo promotore Riccardo Fraccaro (e pure dai media che dovrebbero fare il loro mestiere di quarto potere invece che “populismo”, che se è di Matteo Salvini è cacca del diavolo, se è di un presidente di Corte di cassazione è Chanel dei putti angelici), secondo il quale scopo della “riforma costituzionale” sarebbe il fare piazza pulita di qualche centinaio di “fannulloni”. 

Come nella favola di Esopo

Ma che motivazione è “fannulloni”? Certo, con i talebani risparmieresti. Ed è sicuro che non starebbero con le mani in mano. E tu saresti un impegnato non fannullone perché col cabarettista dal ciuffo bianco cotonato sei stato capace di buttare benzina sul fuoco, incendiare i risentimenti della folla, far volare l’invidia sociale che cova in ciascuno di noi (e alzi la mano chi è senza peccato)? 

Per fortuna c’è una giustizia. Confessa l’ex ghost writer di Beppe Grillo, il buon borghese, professore a Zurigo, ecologista e di doppio passaporto (svizzero e italiano) Marco Morosini: «Il Movimento avrebbe potuto trovare ancora maggiore consenso se si fosse dedicato a mostrare il meglio di “noi”, invece che il peggio di “loro”. “Loro” semplicemente non esiste».

Per fortuna c’è una giustizia 2, la vendetta. Nelle ultime votazioni, le regionali in Emilia-Romagna, non hanno preso neanche il 5 per cento. Se si votasse adesso? Confessa un mio compagno di banco pentastellato in Comune: «Chissà, forse non riusciremmo a metterci d’accordo nemmeno con noi stessi». Poi dice che, suo malgrado, Salvini non è un genio. Ha portato al governo il Rospo che grandi giornali e grande finanza hanno gonfiato come un Bue per incornare e metter sotto i partiti, la rappresentanza popolare, in una parola la democrazia di cui schifano le possibili conseguenze non malandrine. E adesso taaac! Due anni al governo, prima in adulterio con i verdi, poi in matrimonio con i rossi, sono stati sufficienti a far scoppiare il foruncolo di questi dell’onestà. 

Come nella favola esopea viene il tempo della giustizia 1, 2 e finanche tormentona alla Montalbano. D’altra parte è la nostra specialità: “L’Italia è ferma”, ma dall’epoca della Piovra 1-23 esportiamo solo tormentoni antimafia. Poi quando non ce n’è più, come succede di questi tempi, ecco la corsa allo sguardo all’indietro. Lo aveva insegnato il procuratore Antonio Ingroia, il sacerdote togato poi caduto in disgrazia, indagato per peculato e ora minacciato di 4 anni di carcere, che ha tenuto a battesimo il Fatto quotidiano dell’amico Marco Travaglio. Insomma, se non hai un cazzo da fare, vai a riesumare il cadavere del bandito Giuliano («L’ultimo mistero», «i magistrati vogliono fare chiarezza sulla morte del bandito ucciso 60 anni fa», Repubblica, 28 ottobre 2010). E riparti a cazzeggiare.

L’errore spinto all’estremo

Ma quanto ci è costata questa giustizia cazzeggio? Un’epoca semplicemente distruttiva? Il vuoto politicante dell’antipolitica? Il beato nulla di folle instupidite da un genio del risentimento? La tenace spasmodica guerra dei bottoni contro la realtà? La decostruzione a palla di ogni buon senso? L’Italia dei tutti presunti colpevoli in attesa di giudizio? Tutti Cattivissimo Me con qualche furto della Luna da nascondere sotto le coperte? I Capitani Findus della peggior casta, come ha dimostrato una impietosa inchiesta di Panorama circa la presenza e, soprattutto, l’assenza dei grillini ai lavori parlamentari?

Che godimento il tintinnar di manette. E che modello di civiltà i maestri Manzi del giustizialismo. È così che hanno aiutato la crisi a fare più male che potesse. E la ripresa a non comparire se non come balla raccontata dagli ancora tanti leccapiedi che ci sono tra i grandi media. Insomma sono avanzati nel guano. E adesso l’odore si sente. Roba che dimostra l’esistenza di Dio più del verde delle praterie. Infatti, come diceva il saggio don Giussani, per capire l’errore non c’è niente di meglio che urgerlo fino alle estreme conseguenze. 

Ed eccoci al referendum “antifannulloni” con i fannulloni incollati col superattack alle poltrone. Mai eterogenesi dei fini si è dimostrata efficace rivelazione come quella che ha condotto i ragazzi dell’Elevato a vincere il superenalotto dei consensi e, dopo soli due anni di potere, rischiare l’implosione interna e, all’esterno, di essere rincorsi coi forconi. Là dove non riuscì Antonio Di Pietro, è riuscito il dipietrismo 2.0 di Grillo. Per capire che Tangentopoli è stata un gigantesco intrattenimento a somma zero, ci hanno illustrato per trent’anni un paese così corrotto, ma così corrotto, che adesso siamo più corrotti di prima (almeno così dicono i procuratori capo). Ma allora, scusate, a che gioco abbiamo giocato? Al gioco di “mani pulite”. Alias Cinquestelle. O “Italia ferma”.

Foto Ansa

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