A Beirut tra le bombe che hanno ucciso Nasrallah
Una fortissima esplosione nel caldo e assolato pomeriggio di Beirut. Un’enorme nuvola di fumo nero si alza in cielo a poche centinaia di metri, poi altre deflagrazioni. Alte nel cielo le scie di aerei che sorvolano la città.
Corro verso la zona colpita che da quattro giorni viene bombardata dai caccia israeliani: Haret Hreik, la roccaforte di Hezbollah, la milizia sciita che minaccia Israele con razzi e missili che piovono sulla Galilea. Israele vuole il bersaglio grosso: il capo degli Hezbollah, Hassan Nasrallah, 64 anni, il leader carismatico, capo religioso quanto politico. Da trent’anni è il segretario generale della milizia che ha trasformato il gruppo paramilitare filo iraniano in un vero e proprio partito; un partito armato meglio dell’esercito regolare, che controlla totalmente il Sud e la valle della Bekaa e che in buona parte del Libano gestisce di centri di assistenza, ospedali, fabbriche. È uno stato nell’inesistente Stato libanese, ma anche e soprattutto Hezbollah è un’armata votata all’eliminazione dello Stato ebraico, l’”entità sionista” come la chiamano perché il nome “Israele” non viene nemmeno pronunciato.
La grande nube
Negli ultimi quattro giorni i raid israeliani hanno decapitato il vertice di Hezbollah, ucciso i comandanti delle divisioni. Ma Nasrallah sembrava imprendibile. Molti dicevano che non era più in Libano anche se l’insistenza dei raid israeliani faceva pensare diversamente.
Ora l’enorme esplosione sentita da tutta Beirut e la grande nube che si alza dalla periferia fanno pensare che questo potrebbe essere stato il colpo decisivo. Cerco di arrivare al cuore del cratere, di lontano si vedono i palazzi crollati: la zona viene isolata dai miliziani, arrivano le squadre di soccorso, decine di ambulanze, i vigili del fuoco. Nella periferia sud abitano cinquecentomila persone, affastellate negli orribili palazzoni lungo la strada che arriva all’aeroporto costeggiando il mare. Non si può andare oltre l’ospedale dell’università americana, dove stanno arrivando parte dei feriti.
«Non tutti sono fuggiti»
Un uomo esce dal pronto soccorso. Cammina a fatica. Racconta a Tempi come è sopravvissuto. «Ero a meno di tre metri dal luogo dove sono esplose le bombe e sono crollati i palazzi. Io e un mio amico ci eravamo rifugiati nella sua auto, una limousine blindata. Questo ci ha salvati. Lui è rimasto ferito alla testa, l’auto distrutta, io ho dolori ovunque ma nulla di grave, spero. Siamo usciti dai finestrini esplosi, ci siamo rifugiati in un palazzo rimasto in piedi. Abbiamo sentito le sirene delle ambulanze che stavano arrivando, abbiamo raggiunto la strada principale, camminando tra i detriti e le case in fiamme. La strada si è sollevata per l’esplosione, i vetri dei palazzi vicini sono esplosi. Io ho camminato sorreggendo il mio amico che non riusciva a muoversi, urlava dal dolore. Abbiamo raggiunto i soccorsi, non so come ci hanno portato in un’auto qui, in ospedale. C’erano stati altri bombardamenti nei giorni scorsi, ma non così, non così forti. Non riesco a descrivere quello che ho visto. E non è certo la prima volta che mi trovo in mezzo alla guerra. Io vengo dalla Siria, sono fuggito in Libano tre anni fa, ho dei parenti a Beirut, mi hanno trovato un lavoro come portinaio in un palazzo nella periferia Sud, a Dahieh, proprio a vicino ad Haret Hreik dove c’è il quartier generale di Hezbollah. Non potevo lasciare il lavoro. Per questo non me ne sono andato quando gli israeliani hanno cominciato a colpire Beirut. Tanti abitanti della zona se ne sono andati, i palazzi bombardati erano semivuoti, ma era rimasta della gente. Non tutti sono fuggiti, sono rimasti quelli che non hanno soldi per trovare un posto altrove o hanno preferito restare nelle loro case piuttosto che dormire in strada o nelle rovine fatiscenti, abbandonate dopo le tante guerre, c’è ne sono molte in città. Ma al posto dei palazzi ora ci sono solo macerie. Le bombe li hanno rasi al suolo. Sono fuggito dalla Siria per vivere in mezzo allo stesso orrore. Non so dove andare». Poi mi fa un cenno di saluto, si è sfogato ma ora basta. Si avvicina ad un medico, ci sono ferite che non si vedono.
Una notte di fuoco
Esco dal recinto dell’ospedale protetto dalle forze di polizia regolare, fuori in strada la tensione è fortissima. La gente guarda gli smartphone. Sui siti dei giornali libanesi le notizie si accavallano. Sono morti due comandanti. La sorte di Nasrallah è incerta. Dall’Iran le agenzie dicono che si è salvato. Gli israeliani parlano di una probabile uccisione nel bombardamento. I miliziani di Amal (l’altra formazione sciita legata alla Siria) affluiscono nella zona.
Vedo sul sistema di allerta israeliano che Hezbollah sta rispondendo bombardando tutta la zona tra Haifa e Tiberiade. Cerco di arrivare al cratere della bomba. Anzi delle bombe, dodici, mi dice un ufficiale della polizia libanese. I telegiornali parlano di ordigni ad alto potenziale di penetrazione, con la testata rafforzata che hanno attraversato quattro edifici per esplodere nei sotterranei. Poi i palazzi sono crollati su se stessi. Solo la tv di Hezbollah, al Manar, può riprendere e trasmettere. La vedo sugli schermi dei bar del quartiere. Le squadre di soccorso sono al lavoro. Non posso avvicinarmi di più. I miliziani sono nervosi, minacciano di sequestrami il cellulare. Riesco a scattare qualche foto di nascosto, dall’alto di un palazzo. Poi cala la notte. Le tv rilanciano la trasmissione di Al Manar, mostrano il lavoro dei vigili del fuoco tra i palazzi polverizzati. Alternati alle immagini che giungono dalle tv israeliane: nei cieli della Galilea i tracciati dei razzi intercettati dal sistema antimissilistico Iron Dome. Una notte di fuoco.
Nasrallah è morto
La notizia della morte di Nasrallah arriva la mattina dopo. Ucciso come il suo predecessore, Abbas al Musawi, colpito nel febbraio del 1992 dai razzi sparati dagli elicotteri Apache israeliani. Il primo annuncio viene da Israele, la conferma nel pomeriggio.
La guerra si intensifica, l’aviazione israeliana sta colpendo tutte le zone del Libano e della Siria dove si trovano le basi della milizia. Cercano i comandanti sopravvissuti. E le basi, ormai è noto, sono celate tra le abitazioni civili, sotto scuole e moschee. La gente cerca un posto sicuro, ma non ci sono posti sicuri in Libano. Altre migliaia di profughi si aggiungono agli oltre centomila che hanno lasciato le loro case.
Si attende con il fiato sospeso la reazione dell’Iran, Israele ha minacciato di colpire gli aerei provenienti dagli aeroporti iraniani che dovessero atterrare a Beirut, teme che portino armi agli alleati sciiti. E bombarda la strada che dalla capitale libanese porta alla valle della Bekaa e da lì in Siria. Sui social libanesi si intrecciano i commenti e le reazioni della gente: i più sono semplicemente terrorizzati. Temono le bombe israeliane quanto la reazione di Hezbollah e di Amal, nei quartieri cristiani prevale la rabbia per un governo che non esiste nei fatti, come non esiste nemmeno sulla carta un presidente.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!