La vittoria del cuore, la gioia, quella vera non è di questo mondo. Non è vestita dei luccichii che abbagliano le vie delle città in questi giorni. Lontana dai clamori, dalle prime pagine dei quotidiani; la bellezza splende silenziosa per le anime che la cercano più di ogni altra cosa. Il re del mondo è venuto così, nascosto in una grotta e ha camminato per le strade in mezzo alla sua gente portando con sé nient’altro che la luce del vero. Non c’era bisogno di altro. Come non ce n’è bisogno oggi. “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi”. Così profetizzavano di lui.
E allora sotto queste feste di Natale possiamo scegliere: o lasciarci ammaliare dalla frenetica corsa ai regali o affinare lo sguardo per contemplare la perla che brilla dentro il reale, spesso quello meno fastoso.
È questo desiderio, forse anche un po’ incosciente, che ha fatto sì che in mezzo alla montagna di album che occupavano la classica bancarella di Natale il mio occhio si posasse su Pink moon – Nick Drake. Non lo ascoltavo ormai da qualche anno, ma non lo avevo dimenticato. In copertina un’alba gelida fa da sfondo ad una serie di oggetti sospesi, fissi, quasi come se cercassero un legame, una logica che li unisse. Che c’entra una corda, una tazza, una figurina con la luna? Infine si staglia una faccia fluttuante di un clown triste. Per le strade, se ne incontrano di facce così. Pink moon è l’opera di un ragazzo inglese che nel 1972 ha da poco superato i 20 anni: fragile, silenzioso che ha conosciuto l’amarezza degli insuccessi dei suoi due primi album. Offuscato da geni più comunicativi come Cat Stevens la sua musica rimane per anni nascosta al pubblico, per la distrazione di chi ascolta e un po’ anche per quella strana sorte a cui è destinata la bellezza. Decide lei come e quando entrare. Decide lei quali strade percorrere.
Sicuramente ha toccato la voce di Nicholas Rodney Drake, in particolare in “Luna Rosa”: album intimo, costruito sulla voce timida e scura di Drake e sulle architetture spoglie ma mai banali della sua chitarra. La title track con cui si apre l’album è un tuffo al cuore: è la dichiarazione amara di Nick che si spiega su un riff semplice carico di nostalgia con cui ci avvisa che la luna rosa (simbolo di disgrazia secondo la tradizione orientale) sta per arrivare. Sono i primi segni di una sensibilità straordinaria ma senza approdo che renderà vittima Drake di una forte depressione.
In “Place to Be” la voce e la chitarra si fanno più “trascinate” per raccontare la nostalgia di quel posto in cui stare “dove i fiori crescevano e il sole calmo splendeva”. Un posto senza tempo eppure così reale, così nitido perché impresso nella memoria di ognuno di noi. Attraverso l’arpeggio cervellotico e di una bellezza disarmante di Road si giunge alla dolcezza di “Which Will”: probabilmente un amore spezzato, o forse no, comunque sullo sfondo il viso angelico di una ragazza misteriosa a cui Drake domanda: “Per chi danzi? Chi ti fa splendere? Chi sceglierai se non sceglierai me? Per chi spererai? Chi prenderai ora se non prenderai me? Dimmelo ora: chi amerai di più?” . Insomma: tu di chi sei?
“Things behind the sun” è il vertice di tutto l’album e probabilmente dell’intera produzione artistica di Drake. Il ritmo si fa più teso e serrato e la voce di Drake con in braccio la chitarra ci trasporta a conoscere le cose nascoste dietro al sole, quelle che brillano mentre nessuno le guarda: “Sì, sii ciò che devi essere” , “dì quello che devi dire” e “non essere timido, imparerai a volare e a vedere il sole al tramontar del giorno”. In “Parasite” l’atmosfera si incupisce ancora di più e Drake rivolge la sua invettiva verso il mondo, verso chi lo considera un parassita perché impigliato nel peccato o perché “sfilo la maschera a un clown locale e mi sento giù come lui” e ancora “sento i tormenti delle persone”. Ma in fondo nella vita cosa si chiede di più di un amore gratuito, di uno sguardo totalmente disinteressato che accolga tutto il mio affanno?
In “Free Ride” la voce e il suono delle corde pizzicate nervosamente salgono alte ad implorare un amore così. Il viaggio si chiude con il racconto struggente del paradiso secondo Nick, quel posto ancora da raggiungere, distante più delle stelle, più della luna eppure così caro, così intimo, così suo tanto che assume i contorni del ricordo, di qualcosa di già conosciuto: “Un giorno allora sorse, e fu bellissimo/ un giorno allora sorse dalla terra/ poi cadde la notte, e l’aria era bellissima”. Un non ancora eppure già presente: “E ora sorgiamo / e siamo dappertutto / e ora sorgiamo / dalla terra / e guarda, lei vola / e guarda, lei vola dappertutto.”
È quel posto che ancora tutti cerchiamo, mentre giriamo impazziti come trottole alla ricerca dell’ultimo regalo di Natale. È quel posto che si è fatto incontrare nella fragilità di un bimbo senza apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi e che oggi di nuovo mendica il nostro cuore.
Video: Nick Drake – Place to be