I lettori di Tempi sanno cosa pensiamo di Antonio Di Pietro. Abbiamo sempre detto e scritto che il suo modo di intendere la battaglia nell’agone pubblico e le sue idee sulla giustizia sono ciò che hanno rovinato l’Italia. In seguito ad una intervista alla trasmissione Report, Di Pietro e il suo partito, l’Italia dei Valori, sono in grave difficoltà. In verità, ciò su cui Report ha puntato l’attenzione – le proprietà immobiliari di Di Pietro e l’uso padronale del partito – sono realtà di cui si parla da anni e che solo ora, chissà perché, diventano degne di nota. Il modo con cui oggi Di Pietro viene attaccato è lo stesso con cui – ormai da anni – si fa “politica” in Italia e di cui egli stesso ha beneficiato (verrebbe da dire: “Chi è causa del suo mal…”). Ma notare tutto ciò resterebbe una magra consolazione. A nostro parere, tanto la “politica manettara” quanto la “stampa manipulitista” sono due facce della stessa medaglia, che usano delle campagne mediatiche per fare eliminare gli avversari politici. Questo vale per Berlusconi, ma anche per Di Pietro. Oggi, su “Gli Altri”, a firma di Piero Sansonetti, viene svolto un ragionamento simile al nostro. Riportiamo di seguito alcune delle considerazioni di Sansonetti.
L’immoralità del giornalismo moralista. Gabanelli e (è…) la macchina del fango
Milena Gabanelli, giornalista di punta della Rai – nella trasmissione Report diventata famosa per la “demolizione” di Di Pietro – ha sostenuto che Di Pietro è proprietario di 56 case. Si è accertato che in realtà Di Pietro, sua moglie e loro tre figli (tutti e tre adulti e autosufficienti) sono proprietari di 11 case. Sono parecchie 11 case per una sola famiglia, anche se numerosa, nel senso che sono la prova della ricchezza di quella famiglia. La ricchezza però – finora – non è reato. E infatti Di Pietro non è stato indagato da nessuna procura per nessun tipo di reato. Nessun giudice finora se l’è sentita di incriminare qualcuno per aver comperato casa.
C’è sul tappeto, quasi invisibile, un problema: se una testata giornalistica sostiene che un tale è proprietario di 56 case e invece non è vero – e cioè se una testata giornalistica, per mancanza di verifiche, si inventa la bellezza di 44 case che non esistono e le attribuisce a un uomo politico – sbaglio o incorre in un errore rovinoso? (…) Mi chiedo come mai nessuno abbia chiamato Milena Gabanelli a rispondere di questo clamoroso infortunio. (…) Non solo non succede assolutamente niente, ma Report e Milena Gabanelli sono considerati eroi. Cosa hanno fatto di eroico? Hanno svelato cose già conosciutissime, infarcite con qualche falsità, punto e basta. Questo, al momento, nell’opinione pubblica italiana è considerato un vanto.
Poco più di un anno fa Fabio Fazio e Roberto Saviano furono protagonisti di un bel pezzo di televisione, di grande successo, nel quale denunciarono al grande pubblico “la macchina del fango”. Cos’è la macchina del fango? Un sistema ormai collaudato per usare il “gigante” dell’informazione non per informare ma per killerare personaggi pubblici considerasti nemici. Nessuno di noi è in grado di dire se questo killeraggio avviene in modo autonomo e indipendente, e cioè per iniziativa dei giornalisti, oppure avviene per commissione, cioè è richiesto da qualcuno che ha interesse a liquidare quello o quell’altro dirigente politico. Probabilmente spesso avviene su commissione. La macchina del fango negli ultimi dieci anni è diventata il motore fondamentale dell’informazione in Italia. (…)
È inutile che fingiamo che le cose non stiano così. Programmi come quello della Gabanelli fanno parte della macchina del fango, esattamente come della macchina del fango hanno fatto parte quotidiani tipo Libero o il Giornale o anche Repubblica. La campagna contro Boffo, quella contro Fini – da destra – quella contro Di Pietro, ora da sinistra, così come buona parte delle campagne scandalistico-sessuali contro Berlusconi, sono tutte pezzi di questo modo orrido di concepire il giornalismo come un lavoro per sicari. Chissà se un giorno ce ne renderemo conto. Il giornalismo italiano va rifondato, questa è la verità. E non lo si rifonda né con le intercettazioni telefoniche, né con le veline delle procure, e nemmeno con Milena Gabanelli. Perché, vedete, la Gabanelli sicuramente è una personalità e un’intellettuale robusta, seria e di alte doti morali. Però la sua vocazione era quella di fare la giudice, o la predicatrice, la Savonarola: non la giornalista. Lei considera del tutto secondaria l’imprecisione di qualche particolare nell’inchiesta, perché lei è moralmente convinta che Di Pietro vada distrutto e dunque il suo compito è distruggerlo. Le vie attraverso le quali avviene la demolizione non sono importantissime. Lei risponde ad un imperativo morale. Ecco, il mio dubbio è proprio questo: credo che il giornalismo moralista sia immorale.