
Cooperanti italiani, politici, sindaci e infermieri: il nuovo bottino di Maduro

Subito dopo lo scambio di venerdì scorso tra il governo venezuelano, quello statunitense e quello di El Salvador – che ha riguardato una decina di ostaggi statunitensi e circa 30 prigionieri politici liberati dal regime del presidente de facto Nicolás Maduro, in cambio di 252 persone espulse da Washington e detenute nel supercarcere Cecot in El Salvador – Caracas ha scatenato una nuova, feroce ondata repressiva interna.
In appena quattro giorni, dal 19 al 22 luglio, sono stati denunciati decine di arresti arbitrari e sparizioni forzate, con un obiettivo chiaro: colpire in modo selettivo testimoni elettorali, operatori umanitari, infermieri, ex sindaci e cittadini accusati di sostenere, anche indirettamente, l’opposizione democratica nel Paese sudamericano.
Paraqueima, in cella con febbre altissima e un intervento rimandato
Fra i casi più gravi dei prigionieri politici – la maggior parte finiti in carcere dopo le presidenziali farsa del 28 luglio scorso che hanno confermato Maduro alla presidenza sino al 2031 senza mostrare neanche un verbale elettorale -, c’è quello di Ernesto Paraqueima Luiggi, ex sindaco della città di El Tigre, di origini italiane (la nonna era del Bel Paese) ma senza cittadinanza, a differenza di una decina di nostri connazionali detenuti da quasi un anno senza alcun motivo, se non quello di essere usati come merce di scambio. Da giorni Paraqueima è in condizioni critiche: febbre altissima e un’operazione urgente rimandata all’infinito.
Secondo fonti locali, rischia la vita se non riceverà cure immediate per essere operato. La decisione dipende dai medici di guardia dell’Elicoide, il famigerato centro di detenzione e tortura del Sebin (i servizi segreti di Caracas), ma finora – nonostante i ripetuti appelli della famiglia, al 100% venezuelana – il regime di Maduro continua a ignorare la sua situazione.
Machado denuncia “la porta girevole” del terrore chavista
A denunciare con forza questa nuova fase della persecuzione chavista è María Corina Machado, leader dell’opposizione, vincitrice delle primarie democratiche ma esclusa arbitrariamente dalle presidenziali del 28 luglio 2024
«La repressione in Venezuela non si è mai fermata, semplicemente si redistribuisce», ha dichiarato Machado, spiegando come funziona con la metafora della «porta girevole»: mentre vengono rilasciati alcuni prigionieri politici – spesso stranieri o usati come merce di scambio nei negoziati, ultimamente con Stati Uniti, Svizzera e Uruguay, ma di fatto con chiunque abbia da offrire qualcosa al regime di Caracas – altri finiscono in carcere, in un ciclo che mantiene intatto il controllo del terrore.
Alberto Trentini, detenuto in condizioni disumane
Secondo l’ONG Foro Penal, tra il 17 e il 21 luglio scorso almeno 26 persone sono state arrestate per «cospirazione», «incitamento all’odio» e «sabotaggio», le fattispecie usate dal Venezuela per arrestare chiunque, quando vuole. «Questi arresti non sono incidenti isolati, ma parte di una strategia sistematica», spiegano i volontari dell’organizzazione, anch’essa perseguitata dalla dittatura di Caracas.
Tra i prigionieri politici che Caracas vuole usare per uno scambio – in questo caso con l’Italia – c’è anche un cooperante veneto, Alberto Trentini, legato a una ong internazionale che lavorava con le comunità rurali e indigene nel sud del Paese. Arrestato a novembre, è detenuto in condizioni disumane: cella senza luce né ventilazione, accesso al cibo limitato, zero assistenza medica. I suoi familiari hanno lanciato numerosi appelli ma, finora, senza alcun risultato concreto.
Americo De Grazia, sequestrato e in grave stato di salute
Non meno preoccupante è la vicenda di Americo De Grazia, coraggioso ex deputato oppositore con cittadinanza e passaporto italiani, già rifugiato nel 2019 presso l’ambasciata italiana di Caracas. Allora fu grazie all’intervento dell’ex presidente del Senato, Pier Ferdinando Casini – che lo riportò in Italia – che si evitò il peggio. Dallo scorso agosto, De Grazia è stato sequestrato mentre usciva da un ospedale e rinchiuso in una cella maleodorante all’Elicoide, accusato non si sa di cosa, se non di essere onesto, coraggioso e pronto a denunciare la corruzione del regime di Caracas.
Il suo stato di salute è compromesso, con gravi problemi, e la sua famiglia teme per la sua vita. La detenzione di De Grazia è però soprattutto un pizzino politico del regime: chi, come lui, ha già sfidato il potere ed è riuscito a salvarsi una volta, non verrà perdonato se osa tornare in Venezuela.
Maduro prepara una messinscena di democrazia per le amministrative
La comunità internazionale appare distratta, quando non accomodante, come nel caso della Spagna dell’ex presidente socialista José Luis Rodríguez Zapatero, grande alleato di Maduro, mentre si avvicina la data delle elezioni amministrative del prossimo 27 luglio, per scegliere sindaci e consiglieri comunali di 335 comuni, oltre ai governatori di 24 stati, tra cui – per la prima volta – quello della Guyana Esequiba, che in realtà corrisponde al 70% del territorio della Guyana, ma che il governo di Maduro vuole occupare. Per ora lo ha fatto sulle carte geografiche e da domenica prossima lo farà con il voto.
Il messaggio di Caracas è chiaro: nessuno deve disturbare la messinscena di democrazia che il regime vuole mostrare al mondo per l’ennesima volta il 27 luglio. Perché, come ripete spesso la stessa Machado, «il Venezuela è oggi un laboratorio del totalitarismo moderno: reprime, rinegozia, ricatta. Ma soprattutto, non si ferma mai»
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