Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Quando su questo giornale scrivevamo che la legge sulle unioni civili avrebbe fatto in Italia da apripista alla pratica dell’utero in affitto, ci dicevano che eravamo degli esagerati cattotalebani.
Quando scrivevamo che anche il divieto alla maternità surrogata sarebbe stato facilmente aggirato da qualche sentenza creativa, ci rassicuravano che ciò non sarebbe mai successo, di stare tranquilli, di non agitare spauracchi inconsistenti. Poi si è pronunciata la Corte di Appello di Milano che ha consentito la trascrizione di un atto di nascita di due bambini nati in California tramite utero in affitto. I due sono “gemelli” senza essere “fratelli”, hanno due padri italiani senza avere nessuna madre.
Prodigi della tecnica? No, prodigi del linguaggio biofaustiano che non descrive la realtà, ma ciò che esso impone alla realtà con violenza. Il tutto, come scritto nella sentenza, in nome «della tutela dei diritti fondamentali dell’uomo». Che poi, pare di capire a noi primitivi, sarebbero quelli dei due bambini. Ai quali un giorno sarà spiegato che il fatto di essere gemelli ma non fratelli, “figli” (ma si può usare questa parola?) di due uomini ma di nessuna madre, è un loro «diritto fondamentale». E tutto sarà loro venduto come perfettamente logico, lineare, persino naturale.
Con noi, dopo una martellante campagna mediatica, ce l’hanno fatta. Siamo così assuefatti che non ce la facciamo più a reagire. Ma loro, i bambini, come potranno mai sopire quella domanda sull’origine che già ribolliva nel sangue d’Adamo?
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