
80 mila rimpatri. Il fallimento della «progressista e tollerante Svezia»

La Svezia ha annunciato ieri 80 mila espulsioni. Dovranno abbandonare il paese 80 mila persone le cui richieste d’asilo non sono state accettate. Cosa è successo? Perché il paese scandinavo che, ai nostri occhi e secondo una certa retorica diffusa, è un modello efficiente di integrazione e welfare, ha preso questa decisione? Semplice: perché non lo è; perché qualcosa non ha funzionato.
Da questo punto di vista, risulta illuminante il reportage firmato da Marco Imarisio che compare oggi sul Corriere della Sera (“Göteborg, un ghetto paradiso”). Il giornalista del Corriere raccoglie voci di esperti e voci di strada di Hammarkullen, sobborgo della città dove i ragazzini d’origine non svedese dicono: «Noi e i biondi siamo due pianeti che non entrano mai nella stessa orbita».
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]AREE DI ESCLUSIONE. In questo città della «progressista e tollerante Svezia», ci sono due Göteborg: «La città da cartolina appartiene ai “biondi” e ai turisti. L’altra, invisibile agli occhi di chi arriva da fuori è fatta dai quartieri degli immigrati che si chiamano Hammarkullen, Angered, Biskopsgarden, Bergsjon, per i quali è stato coniato da anni un termine che li raggruppa tutti, e che tradotto in italiano suona come “aree di esclusione”».
E il famoso welfare svedese? «All’estero continuate ad ammirarlo – dice un esperto al Corriere –, ma il nostro sistema di welfare e di accoglienza è vecchio di oltre trent’anni e produce ghetti suburbani dei quali non importa nulla a nessuno, basta che siano lontani dagli occhi degli altri residenti».
SEGREGAZIONE PER ACCOGLIENZA. Da qui sono partiti molti ragazzi per la Siria («a Göteborg il poco ambito titolo di capitale europea dei foreign fighters») e «le guerre tra bande delle “aree di esclusione” hanno fatto aumentare a dismisura il numero di scontri a fuoco». Gli episodi di cronaca, la saturazione dei centri di accoglienza («al settembre 2012 a oggi arrivano circa 1.250 profughi a settimana, ma la capacità dei centri è stimata dal governo tra i 500 e i settecento posti») hanno portato il paese a modificare il proprio approccio nei confronti del fenomeno migratorio. «La misura del disagio si coglie sulla costa occidentale, lungo i 250 chilometri che collegano Malmö a Göteborg, le due città che contengono ogni contraddizione del modello svedese. “Sono il simbolo di un implicito baratto che ai nuovi svedesi ha dato segregazione in cambio dell’accoglienza”».
Foto Ansa
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2 commenti
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Ma dov’è il fotografo con la faccia seria ma a colori ?? Fotografo !!! Dì qualcosa !…
la Svezia è da un pezzo la Patria ideale solo per gli illusi.