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1992. Ribaltare la storia d’Italia come un calzino e appellarsi alla fantasia

La fiction di Sky su Mani pulite recensita da Maurizio Tortorella, vicedirettore di Panorama. Che all'epoca era un giovane cronista di giudiziaria a Milano

Maurizio Tortorella
26/04/2015 - 1:30
Spettacolo
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1992-mani-pulite-fiction-sky

Pubblichiamo la rubrica di Maurizio Tortorella contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Le avvertenze, all’inizio di ogni puntata, sono più lunghe di quelle degli antibiotici. «Anche se ispirate a fatti realmente accaduti, le storie narrate sono frutto della fantasia degli autori. (…) Il ruolo dei personaggi e delle società è stato liberamente rielaborato e romanzato, così come la loro partecipazione alle vicende immaginarie dei personaggi inventati dagli autori. (…) Qualsiasi collegamento con persone vissute o viventi, non esplicitamente individuate, è puramente casuale». Ma non è affatto così. Del resto, non può essere così. Perché c’è indubiamente molta fantasia, però non c’è alcuna casualità in 1992, la serie di Sky che racconta quel che accadde nel primo anno di Mani pulite. C’è anzi molto d’intenzionale, e molto di politicamente sensibile in un’operazione che affianca fatti veri, veri personaggi, con nomi e cognomi e tanto di fattezze che ricordano l’originale (non tanto Antonio Di Pietro e Gherardo Colombo, ma molto Marcello Dell’Utri e Piercamillo Davigo) a fatti mai avvenuti, o avvenuti in modi e momenti totalmenti diversi.

Si dice: ma questa è “docufiction”. Sarà. Ma qualcosa non torna. Il tema appassiona chi scrive forse anche perché, nel 1992 giovane cronista di giudiziaria a Milano, si trovò a vivere molto, molto da vicino alcune di quelle vicende. Quanto si vedeva di Mani pulite, da subito, fu ben diverso da quel che si vede oggi in tv. Il tono è troppo encomiastico e manicheo: i buoni da una parte, i cattivi dall’altra. In realtà, ancora ai primi arresti di febbraio-marzo (Mario Chiesa, gli otto imprenditori…), Di Pietro restava un po’ lo “sfigato” del palazzo di giustizia. Stava nella stanza numero 254 al quarto piano della Procura, esattamente all’altro capo del lungo corridoio che partiva dagli uffici del procuratore Francesco Saverio Borrelli, ed era un segno di grave marginalità, perché il peso dei sostituti si misurava con la prossimità al capo. Poi, certo, crebbero fama e consenso popolare: arrivarono le scritte sui muri, le fan asserragliate nel corridoio, le biografie celebrative e le cronache esaltanti del parallelo pool dei giornalisti-fiancheggiatori.

Ma tutto il tono della fanta-fiction 1992 è sbagliato. Ci sono falsificazioni secondarie, ma significative. Come la moglie di Chiesa, che non fu affatto interrogata normalmente, come appare nella fiction, ma venne fatta attendere per ore in corridoio, in modo da essere vista dai giornalisti affinché il socialista detenuto sapesse che Di Pietro aveva gli strumenti per arrivare ai suoi conti esteri e si decidesse a parlare (cosa che regolarmente avvenne). E ci sono anche censure più gravi. Non si percepisce, per esempio, il dramma della custodia cautelare usata come grimaldello per ottenere confessioni; l’unico suicidio che si vede riguarda un imprenditore che esce perché ha parlato, e invece gli 11 suicidi di Mani pulite nel 1992 riguardarono indagati che non avevano mai confessato nulla; Giovanni Falcone, che nel 1992 era direttore generale degli affari penali del ministero della Giustizia, viene visto come «grande amico» di Di Pietro, ma in realtà non pare ne avesse questa grande stima professionale. Per di più, lavorando Falcone fianco a fianco con il ministro socialista Claudio Martelli, è noto che Di Pietro e Colombo non si fidavano affatto di lui. Altro che abbracci…

Attenzione alle date
C’è una falsificazione ancora meno accettabile, però, e riguarda la tesi, politicamente rilevante, che Publitalia, la Fininvest e Silvio Berlusconi in prima persona nel 1992 intendessero usare, strumentalizzare Mani pulite per garantire la discesa in campo del Cavaliere. In realtà Berlusconi nel 1992 era ancora assai vicino ai socialisti di Bettino Craxi, che alle elezioni del 5 aprile, dove si segnò il primo clamoroso successo della Lega, persero appena lo 0,6 per cento contro il crollo democristiano del 4,7. L’idea d’impegnarsi in politica, per Berlusconi e per i suoi (non tutti, perché l’opposizione interna aziendale fu elevata), arrivò 18 mesi dopo, quando ai moderati italiani fu chiaro che Mani pulite aveva colpito duramente il pentapartito (Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli), ma aveva di fatto graziato il Pci-Pds.

Prima Berlusconi cercò di aggregare un centro liberale attorno a Mario Segni, il vincitore del referendum elettorale del 1992 (i contatti avvennero all’inizio dell’ottobre 1993). Quando poi quei contatti fallirono, Berlusconi si azzardò a dichiarare pubblicamente (era il 27 novembre 1993) che, fosse stato un elettore romano, avrebbe votato per il candidato sindaco Gianfranco Fini, segretario del Movimento sociale. Partì allora la complessa operazione di collegamento elettorale Forza Italia-Lega-Msi che avrebbe sbancato al voto del 1994, bloccando la corsa della «gioiosa macchina da guerra» di Achille Occhetto. E forse anche certi registi politici occulti di Mani pulite. Raccontare una storia diversa, davvero, è falsificare la storia. E non è proprio operazione corretta.

@mautortorella

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