Il Correttore di bozze nota che è tornato giustamente al centro del dibattito pubblico un tema assai caro ai miserabili pezzenti come lui: la villetta brianzola è o non è un chiaro segno del degrado dell’Italia? E in special modo la villetta brianzola nella sua declinazione più sordida, ovvero la villetta a schiera brianzola, non dovrebbe forse fare un po’ orrore a ogni sincero democratico?
Trattasi in effetti di un giudizio ormai francamente incontrovertibile, ripetuto di recente non a caso da alcune personalità di spicco del nostro panorama intellettuale note per nutrirsi non di beni terreni bensì di sola cultura, e soprattutto animate da nessunissimo intento ideologico ma da un limpido ardore filantropico. Trattasi in particolare del regista Paolo Virzì e delle firmissime di Repubblica Natalia Aspesi e Michele Serra, tutta gente che sa cosa vuol dire soffrire la fame e abitare malsicure catapecchie di paglia e argilla. Insomma, se non proprio correttori di bozze, quasi. Altro che l’avido villettaro della Brianza.
Tutto è cominciato con l’intervista concessa pochi giorni fa proprio alla Aspesi dal summenzionato cineasta Virzì, in occasione dell’uscita del «suo ultimo bel film Il capitale umano, che sposta dal Connecticut alla Brianza il romanzo dell’americano Stephen Amidon dallo stesso titolo». Entrambe le opere parlano naturalmente di imprenditori totalmente asserviti al danaro (danaro con la a) che rovinano la vita a tutti, forse all’Italia intera, inseguendo i facili guadagni (sempre in danaro) promessi da finanzieri senza scrupoli. Una perversa combriccola di loschi figuri che grazie all’immaginazione virziniana ha trovato ideale collocazione, appunto, nelle villette briantee.
Scrive la Aspesi: «Finalmente il cinema parla di ricchi, di quei ricchissimi diventati tali senza produrre lavoro, merci, ricchezza per il paese, di quella nuova, forma di criminalità finanziaria che come è capitato nel 2008, può arrivare a distruggere l’economia di intere nazioni. O semplicemente mandare sul lastrico gli investitori». E finalmente – aggiunge un Correttore di bozze ricolmo di invida sociale – il cinema parla della Brianza, i cui imprenditori non solo sono diventati ricchissimi senza produrre un cacchio, manco, chessò, un mobile, ma l’hanno combinata anche più grossa. Si sono fatti la villetta.
La Brianza, spiega Virzì nell’intervista, «l’ho scelta perché è vicina a Milano, dove c’è la Borsa, dove ogni giorno si creano e distruggono patrimoni: poi perché cercavo un’atmosfera che mi mettesse in allarme, un paesaggio che mi sembrasse gelido, ostile e minaccioso. Mi interessavano due scenari, quello dell’hinterland con i grumi di villette pretenziose dove si celano illusioni e delusioni sociali, e quello dei grandi spazi attorno a ville sontuose dai cancelli invalicabili».
Naturalmente tutto questo «inarrestabile degrado e sottomissione al denaro» per Virzì ha una causa ben precisa, ed è che, indovina un po’, «siamo un paese plasmato dal berlusconismo», ovverosia «dagli ostentatori che rendono volgare la ricchezza e lo spreco, che fa dei truffatori e degli evasori dei martiri e degli eroi». Ma questo ormai è quasi secondario, osserva il compagno Correttore di bozze, poiché la rivoluzione di noi proletari oggigiorno ha un nuovo nemico da abbattere, non tanto un Berlusconi qualsiasi quanto la villetta ostentatrice brianzola, e ha un nuovo comandante da seguire, non più un Che Guevara qualunque bensì Michele Serra.
Anche quest’ultimo infatti ha particolarmente apprezzato il film di Virzì, «ambientato – scrive oggi su Repubblica – nella Brianza raggelante e anonima delle villette a schiera». Ma secondo lui forse il paesaggio «gelido, ostile e minaccioso» descrittovi è anche peggio di così. E mentre raggela attraversando certi grumi di villette pretenziose, Serra alza lo sguardo verso l’«ex cielo di Lombardia» e lo trova «trascolorato dall’azzurro manzoniano al grigio canceroso di un inquinamento tra i più implacabili d’Europa». E poi vede dovunque, tra una villetta a schiera e l’altra, «disordine e pochezza», quando invece una volta questi luoghi erano «bellissimi, tutti campi e boschi, ville e cascine, bassi colli che risalgono dolcemente verso i laghi e le montagne».
Orsù dunque, operai di tutto il mondo, unitevi e abbandonate quelle raggelanti villette a schiera da ricchi pretenziosi e trasferitevi in una bella villa immersa nel verde, da ricchi veri. Non siete schifati anche voi come Serra della vostra minacciosa Brianza, ridotta ormai a «labirinto inestricabile di rotonde stradali, capannoni (molti dei quali vuoti), agglomerati urbani senza un inizio e una fine, senza un diritto e un rovescio»? Già, le devastanti rotatorie brianzole. Oggi magari ti sembrano banali rotonde stradali, domani sono già una crisi globale.