Why Not. Genchi e De Magistris “spiavano” i telefoni di Benedetto XVI e delle Memores Domini
Racconta Panorama che nell’udienza suddetta è stato ascoltato «Alfredo Garbati, il pm calabrese che nel dicembre 2007, due mesi dopo l’avocazione decisa dal capo della Procura generale di Catanzaro, subentrò a De Magistris in “Why not”». Secondo Garbati nell’archivio Genchi c’erano, oltre a quelle di Ratzinger, anche «i tabulati dei direttori dei servizi segreti», «52 utenze telefoniche riferibili al Consiglio superiore della magistratura», «14 utenze della segreteria generale della presidenza della Repubblica», quelle dei funzionari dell’ambasciata Usa a Roma, quella del procuratore nazionale antimafia, quella di un suo aggiunto e di qualche sostituto. Per non parlare dei numeri di telefono di tredici parlamentari, tra cui Romano Prodi (presidente del Consiglio), Clemente Mastella (ministro della Giustizia), Giuliano Amato (ministro degli Interni), Marco Minniti (viceministro agli Interni con delega ai Servizi Segreti). Insomma, come ha testimoniato Garbati, Genchi aveva «una sorta di delega in bianco per allargare la sua indagine là dove ritenesse opportuno».
Il caso Why not è finito come doveva finire, cioè nel nulla. Non senza però cambiare la vita di tutti quelli che vi furono coinvolti, a partire da Antonio Saladino, allora presidente della Cdo Calabria, e Giuseppe Chiaravalloti, ex presidente della Regione. O di quelli che vi imbastirono campagne di stampa di cui ora paiono immemori (qui in pagina vedete la copertina de Il caso Genchi, 984 pagine, 2009, con la prefazione di Marco Travaglio). E noi siamo ancora qui a discutere di responsabilità civile dei magistrati.
Foto Benedetto XVI da Shutterstock
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