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Il business degli abiti usati via app è il trionfo del consumismo

La "fast-fashion" di seconda mano è la nuova moda, ma le app come Vinted non sono per niente "green", anzi: alimentano il consumismo

Rodolfo Casadei
07/06/2021 - 3:00
Ambiente, Società
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Una pubblicità dell'app per vendere abiti usati Vinted

Acquistare vestiti di seconda mano seminuovi nei marketplace che si trovano in rete, tipo Vinted, per dare concretezza all’economia circolare e consumare in un modo ecologicamente compatibile: balle, sonore balle. È la conclusione a cui giunge un servizio di quattro pagine con le firme di cinque inviati apparso su Liberation, il quotidiano francese fondato da Jean-Paul Sartre.

Le app come Vinted non sono green

«Le piattaforme come Vinted o Vestiaire collective sono le teste di ariete della fast-fashion di seconda mano», dichiara agli autori dell’inchiesta Eloise Moigno, fondatrice del marchio di moda ecoresponsbaile SloWeAre. «Esse spingono i consumatori verso abitudini di acquisto tipiche del mercato della fast fashion: si acquistano enormi quantità di abiti a buon mercato sapendo che non li si indosserà, che si potranno rivendere. Queste applicazioni stimolano nel consumatore il lato impulsivo e immediato nei riguardi dell’acquisto». E non solo: la produzione di rifiuti generati dagli acquisti di usato online è nettamente superiore a quella di acquisti nei negozi, una quantità astronomica di imballaggi viene utilizzata dai venditori per preparare scatole, scatoloni e pacchetti da spedire ai centri di raccolta dell’organizzazione o direttamente agli acquirenti.

Poi c’è l’impatto ambientale dovuto ai trasporti: i vestiti viaggiano su e giù per grandi paesi come Italia, Francia, Germania, con le relative emissioni e consumo energetico, anche in questo caso superando di molto i chilometraggi e i consumi dei trasporti di grandi stock di abiti nuovi dai produttori ai grossisti ai negozi. Insomma, il mercato dell’usato, non combatte il consumismo: lo alimenta, con le conseguenze culturali e ambientali del caso.

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Abiti usati, un business miliardario

Sta di fatto che si tratta di un affare già gigantesco, e destinato a crescere ancora nel futuro prossimo. Scrive Dov Alfon nell’editoriale di Liberation:

«In tutto il mondo, e in tutte le categorie, il mercato dei prodotti usati, falsamente definiti di seconda mano, è in pieno boom. Già valutata 25 miliardi di dollari (20,5 miliardi di euro), di cui 1,1 miliardi in Francia, la vendita di abiti usati online dovrebbe raggiungere i 60 miliardi nel 2024 nei soli Stati Uniti. In Europa la start up lituana Vinted guida le danze, con 2,2 transazioni al secondo nella sola Francia. (…) Bisogna necessariamente constatare che il fenomeno è in aumento in tutti i settori commerciali: il nuovo liocorno economico (azienda con un fatturato superiore a 1 miliardo di dollari – ndt) francese, Black Market, regna sui telefoni e computer d’occasione, Selency ha trasformato i mercatini dell’usato in sacrari per rigattieri e i pionieri divenuti giganti – eBay, Bon Coin o Amazon Marketplace – non intendono lasciar crescere per troppo tempo i nuovi arrivati: il mercato dell’usato peserebbe 7,4 miliardi di euro nella sola Francia. Potrebbe sorpassare il mercato dei beni di prima mano entro il 2030».

Acquisti compulsivi

Le interviste alle acquirenti/venditrici (nel 90 per cento dei casi gli iscritti al sito francese di Vinted sono donne) mostrano chiaramente che a muovere il mercato è una nuova forma di consumismo, e non certo la motivazione del rispetto per l’ambiente che i siti dell’usato mettono in primo piano nelle pubblicità. Una parigina di 38 anni che aveva svuotato letteralmente il suo armadio su Vinted prima di partire per l’estero scrive: «Da quando sono tornata acquisto più di quanto vendo, perché mi mancano delle cose, ma non solo per quello. In un certo periodo potevo passare un’ora sull’applicazione senza accorgermi del tempo che passava. Ora mi costringo a limitare i tempi».

Un architetto di 28 anni confessa: «Mi collegavo quotidianamente, ma mi sono dato una calmata: era diventata una dipendenza. Quando si posta molto, si ricevono un maggior numero di notifiche. È un social, funziona come gli altri». C’è già chi ne ha fatto una piccola attività commerciale, come un 17enne di Versailles che con le compravendite di scarpe sportive avrebbe messo da parte 5-10 mila euro: «Nel giro di tre anni ne ho rivenduto 150 paia. Attualmente ne compro tutti i giorni. A volte ne trovo quindici in edizione limitata, aspetto il prezzo di saldo e poi le rivendo con un margine di un centinaio di euro. Seguo continuamente le evoluzioni dei prezzi negli annunci di Vinted. Certi mesi guadagno 300 euro, certi altri 4 mila. Ma mi do dei limiti, non bigio mai la scuola a motivo delle mie attività commerciali».

Nessuno acquista per l’ambiente

Elodie Juge, ricercatrice all’università di Lilla, studia da otto anni i comportamenti delle utenti di Vinted: «È la migliore scuola di commercio in Francia», dice. «Si impara a negoziare e a vendere, ma il denaro guadagnato è sempre reinvestito nel sistema. Le utenti – che hanno, secondo le mie ricerche, fra i 20 e i 40 anni in grande maggioranza – cercano di realizzare dei piccoli profitti senza pesare sul bilancio familiare. Il loro guardaroba diventa un capitale da valorizzare. Siamo molto lontani dalla sharing economy evocata alle origini, siamo in piena economia neoliberale».

Delle velleità ecologiste ostentate da questo genere di piattaforme dice: «Non ho trovato nessuna, fra le persone a cui ho rivolto le mie domande, che dichiarasse di fare queste cose perché si tratta di un sistema “virtuoso”. Non cercano di mettersi a posto la coscienza, perché sanno che sarebbe una mistificazione. Non sono delle militanti. Sono dipendenti da shopping compulsivo».

Visto il mega-affare, anche le grandi marche dell’abbigliamento hanno cominciato a creare sezioni delle loro attività commerciali dedicate ai vestiti di seconda mano, sia online che all’interno dei loro negozi. La lista è lunga: Pimkie, Jules, Kiabi, Eram, Aigle, Décathlon, Citadium, Galeries Lafayette. E c’è chi ha già trovato il modo di contaminare i due settori, nuovo e usato: Redoute, pioniere in Francia delle vendite attraverso catalogo postale, ha lanciato un proprio sito di scambi e di acquisti di prodotti di occasione che si chiama “la Reboucle”. Il marchio invita gli utenti a trasformare i soldi guadagnati con la vendita dei propri articoli di seconda mano in buoni omaggio maggiorati per acquistare articoli nuovi…

Tags: appconsumismo
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