Viaggio nel mondo dell’estremismo animalista, tra minacce, violenza e connessioni pericolose

Di Emmanuele Michela
20 Gennaio 2014
Dopo i manifesti contro i ricercatori milanesi, Gianluca Ansalone, esperto di sicurezza, ci rivela ideologia e reale portata del terrorismo anti-vivisezione, «un fenomeno vecchio esacerbato dal clima di protesta generale»

ALFbeaglesMilano, i volantini sono stati strappati, le scritte intimidatorie invece sono ancora lì, e ci vorrà tempo per rimuoverle: dieci giorni dopo l’azione minatoria di alcuni animalisti contro quattro ricercatori milanesi – accusati da manifesti appesi fuori dalle loro abitazioni, con tanto di numero di telefono e indirizzo di casa – è l’ora delle riflessioni sull’entità di questo attacco, che a tanti ha ricordato gli anni di Piombo e i volantini che i gruppi di estrema sinistra stampavano per minacciare gli avversari politici. Il gesto è stato rivendicato dall’Animal Liberation Front (Alf) che sulla sua pagina Facebook e sul sito directation.info ha spiegato i deliranti motivi del proprio operato.
Il clima di oggi, ovviamente, è ben diverso da quello degli anni Settanta, ma le intimidazioni ai ricercatori accendono una luce sull’estremismo animalista, un fenomeno tutt’altro che recente ma che negli ultimi anni in Italia ha fatto registrare alcuni episodi da non sottovalutare: il blitz di un anno fa nei laboratori dell’Università Statale di Milano, le minacce continue a scienziati come Silvio Garattini, gli incendi appiccati al Centro Latticini di Montelupo Fiorentino, sempre un anno fa. «È un pericolo vecchio, ma che ora rischia di ricevere nuova forza, grazie alle possibilità organizzative che offrono le nuove tecnologie». A parlare a tempi.it è Gianluca Ansalone, esperto di geopolitica e sicurezza, che in passato ha lavorato per il Copasir ed è stato consulente per la presidenza della Repubblica.

[internal_gallery gid=141022]Che impressione le hanno fatto le intimidazioni subite dieci giorni fa dai ricercatori milanesi?
Come tanti altri fenomeni, bisogna cercare di fare distinzione tra il fenomeno di carattere generale e la sua degenerazione. Parliamo dell’estremismo animalista che sfocia in violenza, ricatto e minaccia. Bisogna fare attenzione, ovviamente, a non confondere il dibattito sulla sperimentazione animale con queste manifestazioni di odio. Il fenomeno non è nuovo, anzi è tra i più vecchi di quelli che abbiamo avuto in Europa. Gli anni Settanta e Ottanta sono un’era geologica fa sul piano della sicurezza, eravamo in pieno contesto di Guerra fredda, con minacce del tutto diverse. Molte di queste sono andate perdute, mentre l’estremismo animalista è rimasto. Quello che rende più sensibile questo pericolo sono due novità.

Quali?
In primis le nuove tecnologie, che moltiplicano le possibilità di contatto, connessione e organizzazione tra questi movimenti. Se una volta un messaggio arrivava a cento persone, ora arriva diecimila. In secondo luogo, invece, preoccupa il fatto che negli ultimi anni si è trovata una contiguità crescente tra questi movimenti e altre forme di estremismo violento. Non è raro trovare vere e proprie collaborazioni e sovrapposizioni tra animalisti e i vari gruppi di rifiuto a qualcosa, o anarchici di diverso genere. Con un’ulteriore specificazione: questi gruppi hanno sempre più connessioni a livello internazionale. È risaputo, ad esempio, che tra gli anarchici italiani e quelli greci e spagnoli ci siano contatti frequenti e stretti.

Il fenomeno dell’estremismo animalista è cresciuto enormemente negli Stati Uniti. Addirittura uno tra i primi ricercati dall’Fbi è Daniel Andreas San Diego, appunto un animalista. In Europa si può dire che la minaccia sia inferiore?
È parzialmente vero, negli Stati Uniti nel secondo dopoguerra c’è stato un fermento sociale enorme: piazze, manifestazioni, le proteste contro la guerra in Vietnam. C’era un ambiente molto fertile per questo tipo di sensibilità verso gli animali, e quindi anche per questo estremismo. Va detto che tutto ciò c’è stato anche in Europa, negli stessi anni, anche se in quel periodo noi eravamo impegnati a far fronte a un altro terrorismo, quello degli anni di piombo. Però il fenomeno c’era già: tra gli anni Settanta e Ottanta ci sono state azioni preoccupanti di animalisti, in particolare in Germania, Svizzera e Gran Bretagna. Oggi questi gruppi tornano alla ribalta, forti anche delle novità dette prima. C’è il pericolo? Sì, di sicuro, perché sono movimenti che crescono. Ciò che credo sia maggiormente da temere sono questi collegamenti con altri gruppi. E poi la situazione attuale del nostro paese sicuramente non aiuta.

In che senso?
I
n questo momento in Italia siamo in uno stato di stress sociale legato al pessimo momento economico che stiamo vivendo: la tenuta sociale è già debole, il malcontento cresce, è facile che si possano creare fenomeni di dissenso in cui inserire tutto, anche la protesta animalista. E poi c’è un altro elemento d’attualità: l’Italia è alla disperata ricerca di investimenti internazionali, è chiaro che una multinazionale del farmaco o della cosmesi non verrebbe mai a investire in un’area dove sono stati registrati parecchi fenomeni di intimidazione verso ricercatori, se non addirittura attentati, come quello che nel 2010 stavano per compiere tre animalisti presso il centro di nanotecnologia della Ibm in Svizzera.

Quali sono gli ideali che spingono un attivista a impegnarsi in azioni criminali di stampo animalista?
Per chi studia il fenomeno terroristico c’è una componente che non per forza è logico-razionale. Il caso estremo è quello religioso, siamo entrati in un’epoca in cui dobbiamo fare i conti seriamente con i kamikaze, suicidi appunto per la loro fede. Ma nel caso degli animalisti, alle motivazioni si aggiungono altri fattori, che sono quelli che dettano il passo: ci vuole una leadership carismatica, serve qualcuno che li conduca verso un obiettivo. A ciò, a volte, si aggiungono motivazioni in più, non soltanto ideologiche, ma fattori personali, o psicologici.

Quanto conta nella fermentazione di questi fenomeni violenti l’empatia che la gente comune nutre verso un tema come la vivisezione?
Quell’ultimo miglio che sdogana la protesta verso la violenza è sempre un punto di discrimine che fa cambiare tanta gente, sia dentro che fuori i movimenti. Oggi la minaccia terroristica dell’estremismo animalista è composta da pochi piccoli gruppi, verso i quali dubito ci sia una simpatia da parte della gente. Se non da parte di altri gruppi di stampo ambientalista, o di protesta sociale, o di rifiuto di qualcosa i cui innesti sono fortissimi: si trovano a parlare la stessa lingua.

@LeleMichela

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11 commenti

  1. marmanu

    Mi chiedo come mai questo genere di articoletti..e ancora nulla sulla NOTIZIA del summit avvenuto pochi giorni fa a Roma con SCIENZIATI INTERNAZIONALI ANTIVIVISEZIONISTI E MALATI ..questa sarebbe una notizia..quello che stanno facendo i media ultimamente sembra una vera e propria propaganda..praticamente si vede o Garattini o dei fantomatici animalisti assassini pericolosissimi e violenti..manca solo l’uomo nero e il lupo cattivo e il quadro è completo…ma noi lettori non siamo scemi.. potremmo essere avvisati quando ricomincerà ad esistere veramente il giornalismo?

  2. giuliano

    l’ideologia animalista, ambientalista ecc sono il frutto velenoso nato dalle radici della sinistra

  3. Cornacchia

    CRAAAAAAAAAA!!!!!!!!!

  4. Cornacchia

    CRA CRA CRA!!!

    1. VivalItalia

      Cornacchiona non t’agità!
      A te non te usano per la vivisezione!

      1. Antonio

        manco per fare il sapone vale qualcosa.

  5. Livio

    La multinazionale della cosmesi può rimanersene a distanza vita natural durante.

  6. clemente

    “Il clima di oggi, ovviamente, è ben diverso da quello degli anni Settanta” si dice.
    Io non ne sarei così sicuro.
    Le femmi-naziste di Milano issano cartelli contro i pro-life con scritto “dare fuoco ai CAV con gli obiettori dentro..:”.

    1. Dorian

      Clemente, la madre degli imbecilli è sempre incinta e ripugna l’aborto.

      Una tale affermazione in contesto libertario non ha senso: volere il diritto ad abortire non implica che si debbano chiudere i centri che sostengono le donne che decidono di non abortire.

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