Il Deserto dei Tartari
Vannacci, Forza Italia e Giorgia Meloni
Quando, poco più di un anno fa, apparve l’opera prima del generale Roberto Vannacci, Il mondo al contrario, la mia prima reazione a quanti mi chiedevano un’opinione sui contenuti del libro e sulla sua valenza politica fu: «È un’operazione pensata per indebolire il governo Meloni e avvantaggiare la sinistra». Gli interlocutori restavano perplessi. Il libro, con la sua accurata miscela di luoghi comuni, espressioni al limite della querela, buonsenso della nonna, pressapochismo, ambiguità e calcolate provocazioni strizzava chiaramente l’occhio all’estrema destra: come poteva rappresentare un favore fatto alla sinistra, o addirittura un’operazione da essa congegnata?
Per chi scrive il generale Vannacci
Cercai di spiegarmi: il libro era evidentemente destinato a quegli elettori che avevano votato Fratelli d’Italia o la Lega alle elezioni del settembre 2022, ma che dieci mesi dopo l’entrata in carica del governo Meloni si sentivano poco rappresentati dal partito post-missino o da quello di Salvini, troppo moderati nella gestione del potere e troppi inclini ai compromessi con i “poteri forti”. Il governo di destra-centro stava deludendo quanti si aspettavano un genuino populismo di destra, e questi delusi rappresentavano un potenziale bacino di consenso per un nuovo partito, che avrebbe raccolto le istanze e le parole d’ordine più radicali.
Ugualmente delusi della performance dell’esecutivo Meloni, ma per ragioni del tutto opposte, erano coloro che avevano votato per la sinistra o per i partiti di centro orientati a sinistra come Azione, +Europa e Italia Viva: dopo dieci mesi di governo, nessuna delle profezie di sventura pronunciate dalle vedove inconsolabili di Mario Draghi si era ancora avverata. Il governo populista e criptofascista non stava scassando i conti pubblici, non stava allontanando l’Italia dall’Europa, non stava calcando le orme di Viktor Orban in tema di diritti (allarme lanciato un centinaio di volte da Enrico Letta durante la campagna elettorale), non stava mettendo in discussione le alleanze militari internazionali e il posizionamento occidentale dell’Italia.
La sinistra parla solo di Vannacci
Il generale Vannacci, aspirando a una carriera politica di primo piano dopo essersi scontrato con un tetto di cristallo in quella militare, dimostrava di sapere manovrare al meglio le due opposte delusioni: nei delusi destrorsi aveva individuato la massa di elettori e militanti che avrebbero dato spessore al suo progetto, la base di un movimento politico a venire, nei delusi sinistrorsi aveva individuato coloro che gli avrebbero fatto pubblicità gratis ventiquattro ore al giorno per 365 giorni all’anno. Credo che da allora La7 abbia dedicato più ore di trasmissione a Vannacci che a qualunque altro politico italiano. Per mettere in guardia gli italiani dal pericolo fascista, xenofobo, razzista, omofobo, ecc. rappresentato dal generale? Questo è quello che vogliono far credere.
Il vero motivo è che, nel mentre che rinfrancano il morale delle loro truppe chiamandole alla resistenza contro il nuovo pericolo parafascista, gli esponenti della sinistra agiscono in modo da favorire l’ascesa di quello che dipingono come un nemico assoluto. Come recita una storpiatura di una citazione dal Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, «Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli». Dopo dieci mesi di martellante campagna mediatica anti-Vannacci, corroborata dai contrattacchi dei media più o meno simpatizzanti con le tesi del personaggio, tutti in Italia sanno chi è e cosa pensa l’ex comandante del Col Moschin, si è quindi creata la condizione ideale che gli permette di portare via voti all’area politica contigua alla sua.
In prospettiva la crescita politica di Vannacci va a detrimento di Fratelli d’Italia sia dal punto di vista dei numeri che da quello della strategia. La destra che si stava deradicalizzando e istituzionalizzando viene scippata di voti e vede messa in crisi la sua strategia di occupare il centro senza perdere la propria area di radicamento, che la Meloni stava brillantemente conducendo e alla quale brontolando Salvini si adeguava. Cosa di meglio può chiedere la sinistra, se non l’ascesa di una forza di destra antisistema non più sommabile alle forze dell’attuale destra-centro, che quindi perderebbe la maggioranza per governare?
La posizione di Forza Italia sui diritti
In questi termini, però, il progetto non era completo: se si va alle elezioni e si formano tre blocchi, sinistra del campo largo, destra-centro attuale e Lista Vannacci, si rischia di ripetere la situazione del tripolarismo del 2018, che produsse l’innaturale governo Conte I e il governo tecnico di Draghi. E comunque la sinistra si troverebbe a dipendere dai Cinque Stelle, imprevedibili e poco presentabili in tutto il mondo occidentale. Che fare? Cosa stanno facendo? Per capirlo occorre sintonizzarsi sugli interventi estivi di Marina Berlusconi, Piersilvio Berlusconi e Antonio Tajani.
Il segretario politico di Forza Italia ha tranquillizzato l’altro ieri i partner di governo: la sua proposta sul cosiddetto “ius scholae”, che ha agitato i dibattiti politici agostani, non prelude a rotture o cambi di campo: «Con noi il governo non corre alcun rischio». Peccato che la cronologia recente alluda al contrario: in un’intervista al Corriere della Sera il 24 giugno Marina Berlusconi dichiara: «Sui diritti civili, se parliamo di aborto, fine vita o diritti Lgbtq, mi sento più in sintonia con la sinistra di buon senso. Perché ognuno deve essere libero di scegliere». Il 18 agosto il Fatto quotidiano, ripreso da tutti gli altri media, fa sapere che Piersilvio Berlusconi avrebbe dato indicazione di dare più spazio agli esponenti del Pd sulle reti televisive Mediaset a partire da settembre, e in particolare alle loro posizioni sui cosiddetti diritti civili.
Il peso dei figli di Silvio Berlusconi
I figli di Berlusconi non sono due opinionisti qualsiasi: hanno finanziato la campagna elettorale delle elezioni europee di Forza Italia per un valore di 800 mila euro. Il partito è debitore nei loro confronti, come eredi di Silvio Berlusconi, di 90 milioni di euro circa. Se i figli di Berlusconi si sentono a disagio nel sostenere finanziariamente un partito che governa in coalizione con Fratelli d’Italia e Lega, cioè due partiti sostenitori di una linea conservatrice sui temi cari a Marina e avversari sistemici del simpatico (a loro) Pd, immaginare un avvicinamento politico di Forza Italia alla sinistra e un suo allontanamento dalle alleanze attuali è intuitivo.
Si delinea con ciò l’approdo dell’operazione iniziata un anno fa con l’enfatizzazione sproporzionata del libro e della persona di Roberto Vannacci: replicare in Italia il modello di governance della Ue, cioè una maggioranza Ursula prima maniera, risultato di una coalizione fra popolari, socialdemocratici e liberali. Per fare questo bisogna prima creare una destra impresentabile, poi incrinare la coesione del centrodestra di governo. La proposta dello ius scholae, al di là del merito della questione, si presta al caso.
Il terzo passaggio sarà rappresentato dalla creazione di maggioranze parlamentari ad hoc, distinte dalla maggioranza che sostiene il governo, per approvare nuovi provvedimenti su materie come il fine vita, l’omogenitorialità, la cittadinanza italiana, ecc. Non sarebbe un inedito nella storia politica del nostro paese: divorzio e aborto legale furono approvati da maggioranze trasversali, coi partiti laici alleati della Dc che votavano insieme al Pci, senza che si determinassero crisi di governo. Neanche stavolta, con tutta probabilità, il governo cadrebbe, ma si creerebbero le condizioni per una nuova geografia di alleanze alle prossime elezioni.
Liberali e diritti civili
Che dire di questo progetto? Che i rampolli di Berlusconi siano fan dei diritti civili politicamente promossi dai cosiddetti partiti di sinistra e centrosinistra non dovrebbe meravigliare nessuno: dappertutto, a cominciare dal mondo anglosassone, i miliardari appoggiano legislazioni che promuovano l’individualismo, l’indebolimento dei legami familiari, la fluidità sessuale, l’emarginazione della visione religiosa del mondo con la sua idea di sacralità della vita dal concepimento alla fine naturale. Tutto deve essere profanato e reificato per poter essere sfruttato a fini di profitto.
La liquefazione dei legami e il mutamento continuo, la promozione dell’arbitrio individuale e la sostituzione delle vecchie istituzioni sociali come la famiglia monogamica composta da uomo e donna con altre formule plurali, dinamiche e cangianti, sono i cambiamenti di cui il capitale ha bisogno, nel XXI secolo, per continuare a esercitare la sua egemonia. Silvio Berlusconi, conservatore in politica e progressista liberal sul piano della comunicazione televisiva (vedi gli Antonio Ricci, i Maurizio Costanzo, le Iene, i reality, e lo spirito libertino che da sempre aleggia sulla programmazione Mediaset), rappresenta l’eccezione. Berlusconi sapeva che la società è secolarizzata e consumista, e che per stare sul mercato la sua offerta televisiva doveva riflettere e alla fine promuovere la cultura dominante. In politica invece ha realizzato l’alleanza fra cattolici e liberali per evitare che l’Italia cadesse nelle mani del giustizialismo, di cui lui sarebbe stato (e in parte lo fu effettivamente) la prima vittima.
Una maggioranza Ursula in Italia?
Premesso questo, il progetto maggioranza Ursula si presta a una eterogenesi dei fini da apprendisti stregoni. Immaginarsi che l’estrema destra impresentabile di Roberto Vannacci resterà sempre una forza marginale, numerosa ma non tanto da determinare assetti di governo, è un’ingenuità tipica della presunzione dei progressisti. Annientare il progetto politico di Giorgia Meloni e consegnare i suoi attuali elettori al movimento politico dell’autore de Il mondo al contrario non avrà come effetto la stabilizzazione in senso progressista del quadro politico, ma una radicalizzazione dello scontro anche sociale che potrà sfociare nell’ascesa al potere di un’estrema destra dura e pura.
Tanti sono infatti i fattori di crisi interna e internazionale, che il fallimento delle maggioranze Ursula a Bruxelles e in giro per l’Europa è pronosticabile. E allora a raccogliere i cocci non ci sarà più una Giorgia Meloni col suo approccio pragmatico e ragionevole alle questioni, demonizzata in modo inverecondo da intellettuali e oppositori politici. Ci sarà la creatura inventata per metterla in crisi. Sfuggita al controllo dei nostri dottor Frankenstein.
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1 commento
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Caro Rodolfo, sono incuriosito dalla tua analisi.
Credo sarebbe opportuna una discussione più approfondita circa l’atteggiamento tenuto in questi ultimi due anni, e tutt’ora, da Giorgia Meloni nel rapporto con Ursula Von der Leyen, Manfred Weber e Antonio Tajani.
Personalmente ritengo forzata la ricostruzione secondo la quale qualcuno intenderebbe spostare in Italia la vecchia maggioranza Ursula: un’osservazione attenta di quanto accaduto tra Popolari e Conservatori in questi due anni indurrebbe a ritenere quanto quella maggioranza difficilmente possa essere portata in Italia semplicemente perché, nei fatti, non esiste più nemmeno a Bruxelles.
Invito a non sopravvalutare le apparenze, includendo tra le apparenze il curioso voto espresso dai Conservatori italiani in Parlamento Europeo in occasione della elezione del Presidente della nuova Commissione Europea, nella quale (salvo sorprese in fase di audizioni parlamentari, che personalmente escludo) siederà il “Conservator-Popolare” Raffaele Fitto.
Cordialmente
Massimiliano Salini