
Undicesimo, non discriminare. La torta della discordia americana

Avevamo lasciato Jack Phillips, pasticciere del Colorado, libero di poter continuare a infornare e guarnire le sue creazioni senza violare le proprie convinzioni religiose. O così pensavamo. Ricordate il caso? Nel 2012, appellandosi al suo credo cristiano, Phillips si era rifiutato di realizzare una delle sue torte artistiche per celebrare delle nozze gay. Dopo sei anni di dispute legali e articolesse in cui veniva bollato come “pasticciere omofobo”, il suo caso era arrivato fino alla Corte Suprema. Dove, con sette voti favorevoli e due contrari, i giudici avevano stabilito che Phillips non aveva violato le leggi anti-discriminazione dello Stato. Bensì era stato discriminato dai tribunali di grado inferiore, palesemente animati da pregiudizi ideologici e incompatibili con l’imparzialità dovuta alla trattazione del caso.
ALLA CORTE DI KENNEDY
«La Commissione per i diritti civili ha mostrato un’ostilità chiara e inammissibile nei confronti delle credenze religiose sincere che hanno motivato l’obiezione di Phillips», ha scritto nella sentenza il giudice Anthony Kennedy. Citando un commissario in particolare, che aveva superato il limite nel momento in cui aveva sostenuto «nella storia la libertà religiosa e la religione sono state usate per giustificare qualunque tipo di discriminazione, che si tratti della schiavitù, dell’Olocausto per non citare centinaia di altre situazioni. La libertà religiosa e la religione sono anche tra i più spregevoli argomenti retorici che le persone possono usare per ferire gli altri». Ardente difensore della libertà di parola ma anche del matrimonio omosessuale, Kennedy aveva appoggiato la maggioranza con un verdetto che, in sostanza, riaffermava la protezione che il primo emendamento della Costituzione garantisce alla libertà religiosa e di espressione. Libertà che Phillips sosteneva di manifestare attraverso il proprio lavoro e che gli erano state negate sia dalla Commissione diritti civili del Colorado che dalla Corte di appello.
UN VERDETTO INSUFFICIENTE
La Corte tuttavia non affrontava il nocciolo della questione: cioè se la libertà di espressione “vincesse” sul precetto della non discriminazione. In altre parole se il dogma dell’uguaglianza contasse di più della libertà individuale e religiosa. Se la commissione per i diritti civili non avesse trattato il caso con «commenti inappropriati e sprezzanti» (sempre parole di Kennedy) paragonando un pasticciere a Hitler, il verdetto sarebbe stato diverso? Ce lo chiediamo oggi che Jack Phillips è stato nuovamente citato in giudizio.
IL CASO DELLA COPPIA GAY
Nel 2012 era stato trascinato davanti alla Commissione da Charlie Craig e David Mullins: i due, che si sarebbero presto sposati in Massachusetts, erano entrati nella sua pasticceria di Denver, la Masterpiece Cakeshop, per chiedergli di preparare una torta per le nozze. Phillips rispose che potevano acquistare qualunque prodotto già realizzato in negozio e che li avrebbe serviti per qualsiasi altra occasione, ma che a motivo della sua fede cristiana non intendeva utilizzare le sue doti artistiche per creare una torta per il loro matrimonio. Sottolineò inoltre che in Colorado il matrimonio gay era ancora illegale. Il giorno seguente la madre di Craig chiamò Phillips per chiedergli se volesse realizzare la torta nuziale per lei. Il pasticciere ribadì che il problema non era l’omosessualità, ma lo scopo della torta, cioè la celebrazione di un matrimonio gay. Da qui, l’inferno legale.
IL CASO DEL TRANSGENDER
Oggi i suoi avvocati sono stati costretti a presentare una mozione chiedendo di archiviare la terza causa intentata contro Phillips da un avvocato del Colorado, Autumn Scardina. La vicenda anche qui è intricata di passaggi legali. In sintesi, Scardina si era rivolto nel 2017 alla Commissione per i diritti civili che, dopo la sentenza della Corte Suprema, aveva abbandonato la denuncia. Invece di fare appello contro la Commissione, Scardina ha deciso quindi di intentare una nuova causa presso il tribunale distrettuale federale per chiedere un risarcimento di oltre 100 mila dollari al pasticciere, insieme al rimborso delle spese legali. Cosa aveva fatto Phillips per meritarsi il contrappasso? Si era rifiutato di creare una torta di compleanno con l’impasto rosa e glassata di blu che celebrasse l’identità transgender di Scardina e la sua transizione da maschio a femmina. Il giochetto di Scardina oggi è semplice: se Phillips ha sostenuto che il problema della torta richiesta nel 2012 era il suo significato, cioè festeggiare un matrimonio omosessuale, perché dovrebbe rifiutarsi di realizzare una torta di compleanno, trattando un transgender come un qualunque altro cliente che ordina una torta come gli pare e piace?
IL COMANDAMENTO DELLA TOLLERANZA
La risposta non sta nell’accanimento tutto ideologico contro il pasticciere (una “persecuzione” che, secondo i suoi avvocati, si è concretizzata nella perdita del 40 per cento degli affari), ma nella questione lasciata aperta dal verdetto della Corte Suprema che al fondo ha trattato il caso Phillips come un caso di discriminazione e non di difesa della libertà religiosa: l’uguaglianza e la protezione degli Lgbt sono diventati un diritto al di sopra della libertà individuale? Leggete i giornali americani, dal New York Times al Washington Post ogni battaglia progressivamente aggiornata, per l’aborto, l’utero in affitto, l’eutanasia, il matrimonio omosessuale, la moltiplicazione dei generi, presentano varianti dello stesso ragionamento: proclamare l’uguaglianza tra diritti civili e diritti naturali. Non si tratta di battaglie per la libertà, che cozzerebbero con quelle garantite dalla Costituzione, ma per una nuova, indistinta uguaglianza dei diritti civili applicati selvaggiamente alla sfera etica o morale. Il caso Phillips e delle sue torte non sono che la punta di iceberg: il credo religioso non merita protezione in quanto libertà fondamentale, ma solo in caso di discriminazione e apostasia del nuovo sacro vangelo dell’uguaglianza.
Foto Ansa
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