Una risposta concreta ed efficace alla crisi? L’alternanza scuola-lavoro. È tempo di valorizzarla

Di Matteo Rigamonti
07 Febbraio 2014
Come unire il mondo dell'istruzione con quello del lavoro? Convegno a Lecco su un "metodo" che andrebbe sempre più valorizzato. La nostra cronaca

WP_000235LECCO. «Se la crisi economica ha avuto un “merito” è quello di aver sdoganato il tema dell’alternanza tra scuola e lavoro». Così Emmanuele Massagli, presidente Adapt-Centro studi Marco Biagi, ha introdotto la seconda giornata nazionale sull’alternanza dal titolo “Una migliore integrazione scuola-lavoro per la salvaguardia della cultura industriale”, organizzata in collaborazione con la lecchese Fondazione Badoni per la salvaguardia della cultura industriale.
«L’alternanza è anzitutto un metodo – ha ricordato Massagli – che poi si declina in diversi strumenti quali, per esempio, il tirocinio, i laboratori, l’internship lunga e l’apprendistato», ricordando come il modello in questo campo sia ancora la Germania con il suo sistema duale, dove l’alternanza tra scuola e lavoro può iniziare già al compimento del quattordicesimo anno di età. A sottolineare la necessità che l’Italia si adegui presto alle prassi più all’avanguardia in Europa in tema di alternanza tra scuola e lavoro è poi intervenuto Marco Campanari, presidente della Fondazione Badoni, spiegando come a chiederlo con forza siano innanzitutto le imprese, anche in un territorio come la provincia di Lecco, che pure è uno tra quelli con un Pil manifatturiero più elevato in Italia e in Europa.
«La logica che le istituzioni devono seguire – ha spiegato Campanari – è quella sussidiaria e non dirigistica di valorizzare i diversi tentativi già in essere, come molteplici ce n’è qui da noi, per avvicinare nuovamente i ragazzi alle aziende». Un’esigenza ora più che mai sentita, se davvero vogliamo uscire dalla crisi e ripartire, perché, come ha spiegato Gigi Petteni, segretario generale Cisl Lombardia, «non possiamo più permetterci una formazione professionale esclusivamente incentrata sulla formazione di cuochi, estetiste e parrucchieri. Se non riscopriamo la nostra vocazione industriale non andiamo da nessuna parte. L’Americase n’è accorta, ma noi?».

WP_000233UN LIMITE CULTURALE. Il principale strumento su cui puntare per attuare questa riscoperta è, secondo Petteni, l’apprendistato di primo livello. Ma anche, ha aggiunto, Francesco De Sanctis, direttore generale dell’Ufficio scolastico per la Lombardia, quello delle reti di scuole e dei poli tecnico-professionali che in Lombardia sono già da tempo realtà. In Lombardia, infatti, più del 50 per cento egli istituti sono in già in alternanza, coinvolgendo 65.930 studenti e 28.938 aziende.
Ma per favorire l’alternanza tra scuola e lavoro l’Italia può fare di più. Soprattutto perché gli ostacoli a questa virtuosa pratica che tanto beneficia imprese e studenti, come ha ben spiegato Ivan Lo Bello, vice-presidente per l’Education di Confindustria, sono ancora una volta di natura ideologica. «Se infatti si è scelto di chiamare l’alto apprendistato in questo modo – ha detto Lo Bello – senza fare riferimento esplicito all’espressione “alternanza” per non inserire questo termine in un testo di legge, significa che in Italia c’è un limite culturale».
Forse è proprio per dare un contributo al superamento di questo limite che, durante la sessione pomeridiana dei lavori, Adapt e Fondazione Baroni hanno deciso di far parlare direttamente i protagonisti coinvolti in esperienze di alternanza tra scuola e lavoro che già funzionano, come, per esempio, piccoli imprenditori e docenti del territorio, ma anche studenti e dirigenti di grandi multinazionali come Bosch.

@rigaz1

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