Una recensione anomala: del dialogo, come testimonianza

Di Giuseppe Reguzzoni
21 Novembre 2021
Parlare del libro di Bendaud e Volli per mostrare come, in atto, attraverso l'amicizia con Amicone, si può davvero esprimere un dialogo proficuo tra religioni
Incontro ebrei cristiani in sinagoga

Incontro ebrei cristiani in sinagoga

Inizio da un ricordo personale, cosa che, di solito non si fa quando, sul piano accademico, si accosta e si presenta un nuovo libro. Ma, qui, non siamo su un piano accademico e ciò mi rende possibile una strana constatazione. Luigi Amicone se n’è andato subito dopo che ho ricevuto il bel volume di Ugo Volli e del mio amico Vittorio Robiati Bendaud. Quel volume l’ho ricevuto grazie a lui. Conosco Vittorio tramite Luigi, che mi aveva messo in contatto con lui, qualche anno fa, dopo che questi ebbe letto un mio articolo apparso su Tempi e dedicato a Voltaire, in cui, sia pure di passaggio, menzionavo l’antisemitismo del Papa della tolleranza illuminista (quella per cui la libertà è per tutti, tranne che per i nemici della loro idea di libertà).

A mia volta, reincontrai (dopo tanti anni, dato che, da studenti della Cattolica, c’eravamo già parlati) Luigi Amicone perché gli avevo segnalato, come si fa di rito e con tante testate, l’uscita del mio volume sul «politicamente corretto». Non solo rispose alla mia email (cosa non scontata in Italia), ma mi prese molto sul serio. Mi cercò, mi disse che, per quel libro, avrei avuto su Tempi quanto spazio volevo. E fu così. Rimanemmo in contatto e riuscì a coinvolgermi nell’avventura di Tempi, per cui, in seguito, ho scritto diversi pezzi. Di tanto in tanto ci siamo sentiti e scritti, anche dopo che lui ebbe lasciato la direzione della rivista. Oggi, a maggior ragione, conservo come un dono prezioso i nostri scambi di email.

Avere e cercare la verità

A questo punto credo che il ricordo personale c’entri, eccome, con il volume di Ugo Volli e Robiati Bendaud, perché il modo in cui Luigi mi diede ascolto è un esempio vissuto di che cosa sia il «dialogo», troppo spesso inteso come un mettere da parte se stessi, «perché tanto nessuno ha la verità». E, invece, se è vero che nessuno «ha» la verità, è altrettanto vero che tutti la cerchiamo (e che anche Lei ci cerca). Dialogare non è negare la verità, ma mettere un po’ tra parentesi se stessi e ammettere, quanto meno, che c’è del nuovo nel mondo e nell’altro, che c’è da imparare. Come scrive Volli, richiamando Levinas, il dialogo significa ammettere, quanto meno, che l’altro, se proprio non ha del tutto ragione, quanto meno, ha «delle» ragioni. Citando il Talmud, Volli ricorda che a volte, tra dialogo e dissenso, può anche essere opportuno non decidere, anzi, può essere il segno di massima apertura a una verità che è sempre più grande di noi.

Del resto, almeno in teoria, nessuno dovrebbe essere tanto aperto al dialogo quanto i fedeli delle religioni rivelate, dato che la rivelazione è, appunto, l’apertura di un dialogo e, sul piano umano, il riconoscimento che il Mistero non è monologico, ma dialogico e si apre sulla storia dell’umanità.

Adamo non era ebreo

Il dialogo, insomma, quello vero, è l’essenza dell’Essere. Il volume che qui brevemente presento non è quindi semplicissimo, soprattutto se preso sul serio, pagina dopo pagina, ma, ad affrontarlo con cura, se ne esce diversi e cambiati. Esso non pretende nemmeno di essere una trattazione completa ed esaustiva, dato che il sottotitolo parla, esplicitamente, di «dialogo e dissenso nella tradizione ebraica», che, però, è il terreno dove tutto nasce, e non un accessorio di cui si possa trattare al bisogno.

Il libro è diviso in due parti: filosofica, la prima; storico-esegetica la seconda.

In quest’ultima, Vittorio Robiati Bendaud, oltre a dare saggio dell’esegesi rabbinica sul dialogo nella Bibbia, avvia una sintesi della questione, serissima, del dialogo tra le tre grandi religioni monoteiste, con un avvio a dir poco sorprendente: Adamo, il primo uomo, non era ebreo, era appunto il primo uomo. Dove non si dialoga – e vi è compreso anche il dialogare male – si apre lo spazio della violenza, di cui parlano i primi capitoli della Genesi. Dove si dialoga, è perché c’è già qualcosa in comune, almeno il riconoscimento del principio: Adamo ed Eva non erano ebrei; Noè, parimenti, non lo era. «L’essere umano non fu creato ebreo (o di qualsiasi altra fede)», la sua dignità è, dunque, antecedente la fede religiosa (a differenza che nella tradizione islamica, dove – rileva l’autore – Adamo è il primo profeta dell’islam). E, davvero, non è poco.

Dante e Manoello

L’ebraismo si trova in una posizione non facile rispetto alle altre due religioni monoteiste, con tratti anche paradossali. Il cristianesimo gli appare come un monoteismo imperfetto, che, però, differenza dell’islam, riconosce la sacralità della Torah: ha, cioè, in comune, il principio scritturistico nella sua stessa origine; e non è poco. Quando, allora, sono cominciati i problemi? Con chi?

Con molto coraggio, Robiati Bendaud rilegge l’approccio all’ebraismo nei padri della Chiesa, individuando nel pensiero cristiano almeno due filoni essenziali: uno antigiudaico e uno che, invece, riconosce negli ebrei «la pupilla dell’occhio di Gesù, perché essi sono le sue ossa e il suo sangue» (san Bernardo di Chiaravalle, nel testo a p. 170). La storia successiva dell’Occidente ha ulteriormente proseguito questa relazione dicotomica, con tratti la cui violenza è ben nota.

Alla fine del volume, scopriamo, con piacere dell’esistenza di un dialogo e di stima reciproca tra Dante Alighieri e «Manoello Giudeo», a testimonianza ulteriore della straordinaria capacità dialogica del sommo poeta fiorentino (che non mette gli ebrei all’Inferno, se non per responsabilità individuali, come del resto fa anche coi cristiani).

Chiaro, lucido, reale

Un libro, quello di Volli e di Robiati Beandaud, da leggere e da studiare con attenzione, anzitutto come testimonianza personale di dialogo (per me, che qui lo rileggo, anche molto personale), perché ascoltarsi e parlarsi tra ebrei, cristiani e musulmani «è benedetto e necessario» e, di conseguenza, deve avvenire in modo «chiaro, lucido, leale».

È questa lealtà di fondo, che non nasconde ciò che riconosciamo come più autentico, che ho personalmente imparato da Luigi e di cui lo ringrazio. Il dialogo è incontro, o non è.

Vittorio Robiati Bendaud – Ugo Volli, Discutere in nome del cielo. Dialogo e dissenso nella tradizione ebraica, Guerini e Associati, Milano 2021, 240 p., Euro 20.

Foto Ansa

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