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Home Chiesa

Una grave lesione della libertà religiosa

La legge sull’abuso dei minori dello Stato del Queensland (Australia) chiede ai sacerdoti di rivelare ciò che appreso in confessionale

Mauro Ronco
15/09/2020 - 11:56
Chiesa
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Tratto dal Centro Studi Livatino

1. La nuova legge sull’abuso dei minori dello Stato del Queensland (Australia). L’Australian Associated Press ha diffuso nei giorni scorsi la notizia che il Parlamento del Queensland (Stato dell’Australia, con capitale Brisbane, che occupa la parte nord orientale del continente) ha approvato una legge contro gli abusi sessuali nei confronti dei minori, in forza della quale “I sacerdoti del Queensland non saranno protetti dal sigillo della confessione, dovendo riferire gli abusi sessuali a danno dei minori, con la conseguenza, in caso di violazione, di subire conseguenze criminali” (così la nota di Agenzia). Il Procuratore Generale e Ministro della Giustizia dello Stato – Yvette D’Ath – ha dichiarato che la normativa introduce il nuovo delitto “of failing to report and failing to protect a child from institutional child sexual abuse” e che i sacerdoti non potranno “to rely on the seal of confession to avoid the reporting of abuse” (ibidem).

Un componente del Parlamento contrario alla legge ha dichiarato che essa costituisce un “dangerous precedent”, che potrebbe anche costringere i membri di altre professioni – avvocati, medici e giornalisti – a rivelare le informazioni confidenziali ricevute (ibidem).

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2. Il significato del sigillo sacramentale. – La legge del Queensland, che vuole forzare l’inviolabilità del sigillo sacramentale, costituisce un’inaccettabile offesa alla libertas Ecclesiae, “che non riceve la propria legittimazione dai singoli Stati, ma da Dio” (Nota della Penitenzieria Apostolica sull’importanza del foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale, del 29 giugno 2019); nonché una violazione gravissima della libertà religiosa “giuridicamente fondante ogni altra libertà, compresa la libertà di coscienza dei singoli cittadini, sia penitenti sia confessori” (ibidem). Ove una legge del genere fosse introdotta in Italia, violerebbe in modo grave l’art. 2 dell’Accordo tra la Santa Sede e l’Italia del 15 novembre 1984, nonché l’art. 7 della Costituzione.

Per comprendere la portata incommensurabilmente lesiva per la Chiesa della legge del Queensland, occorre tener conto del significato che ha nella Chiesa Cattolica il sacramento della penitenza o riconciliazione.

Mi avvarrò a questo scopo della Nota della Penitenzieria Apostolica, sopra citata, che ribadisce in modo chiaro e teologicamente approfondito l’importanza centrale che nella Chiesa ha il segreto inerente al sacramento, per la cui inviolabilità numerosi sacerdoti, per fedeltà a Dio e al loro ministero, hanno offerto il sangue nei due millenni di vita della Chiesa.

Papa Francesco ha recentemente dichiarato, parlando del sacramento della Riconciliazione: “Il sigillo sacramentale è indispensabile e nessun potere umano ha giurisdizione, né può rivendicarla, su di esso” (Francesco, Discorso ai partecipanti al XXX Corso sul Foro Interno organizzato dalla Penitenzieria Apostolica (29 marzo 2019). L’inviolabile segretezza della Confessione “proviene direttamente dal diritto divino rivelato e affonda le radici nella natura stessa del sacramento, al punto da non ammettere eccezione alcuna nell’ambito ecclesiale, né, tantomeno, in quello civile” (Nota, cit.).

In verità la frantumazione del sigillo sacramentale costituisce la più profonda violazione possibile dell’intimità della persona che si accosta come penitente al sacramento, nonché del sacerdote che, “in persona Christi capitis”, riceve la confessione della colpa. Il penitente, infatti, aprendo sé stesso al confessore, ha per diretto interlocutore Cristo stesso. Infrangendo il sigillo, si vìola il rapporto diretto dell’uomo con Dio e, quindi, si vìola in modo radicale non solo la libertà religiosa, ma anche, prima ancora, la libertà di coscienza e la struttura più intima e nascosta dell’io personale. Nella fede cattolica, il sacerdote costituisce il tramite necessario per la relazione con Dio. Nell’“io ti assolvo” – così ricorda la Nota della Penitenzieria – è l’ “io” di Cristo, di Dio, che solo può assolvere” (Benedetto XVI, Colloquio con i sacerdoti  -10 giugno 2010).

Il penitente che confessa umilmente i suoi peccati al sacerdote “testimonia così il grande mistero dell’Incarnazione e l’essenza soprannaturale della Chiesa e del sacerdozio ministeriale, per mezzo del quale Cristo Risorto viene incontro agli uomini, tocca sacramentalmente – cioè realmente – la loro vita e li salva” (Nota, cit.). Il sacerdote ascolta i peccati “non ut homo, sed ut Deus – non come uomo, ma come Dio” (S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Suppl., 11, 1, ad 2, citato nella Nota predetta).

Il sacerdote, pertanto, come uomo “non sa” ciò che gli è stato detto in confessione, “perché non l’ha ascoltato in quanto uomo ma, appunto, in nome di Dio” (Nota, cit.). Il sigillo sacramentale obbliga in coscienza anche il sacerdote, a tal punto che egli peccherebbe se volontariamente si studiasse di ricordare il contenuto della confessione, ed è obbligato a reprimere anche “ogni involontario ricordo di essa” (Nota, cit.). “Il sigillo esula, perciò, anche dalla disponibilità del penitente, il quale, una volta celebrato il sacramento, non ha il potere di sollevare il confessore dall’obbligo della segretezza, perché questo dovere viene direttamente da Dio” (Nota, cit.).

Chi ha la serietà di approfondire il significato e la portata teandrica che il sacramento e il sigillo sacramentale rappresentano per il credente comprende immediatamente che la forzatura, in qualsiasi modo, di tale segreto da parte dell’autorità civile costituisce una violazione gravissima della libertà religiosa del soggetto, della società intera e della libertas Ecclesiae. La Chiesa ha sempre richiesto ai sacerdoti  la difesa del sigillo sacramentale, se necessario, “usque ad sanguinis effusionem”, consapevole che il segreto non è prescritto in forza della propria autorità, ma semplicemente da essa dichiarato, poiché intimamente inerente alla santità del sacramento istituito da Cristo.

3. Illegittimità dell’ingerenza del potere civile sull’autorità spirituale e sulla coscienza della persona. – In alcun modo può ritenersi che il sigillo costituisca una forma di connivenza con il male del peccato denunciato dal penitente. Ritenere ciò implicherebbe necessariamente misconoscere la realtà intrinseca dell’atto di penitenza, che apre invece l’uomo alla possibilità reale “di abbandonarsi all’amore di Dio, di lasciarsi convertire e trasformare da questo amore, imparando a corrispondervi concretamente nella propria vita” (Nota, cit.). Si confonderebbe con ciò in modo arbitrario il piano dell’ordine civile con il piano dell’ordine spirituale e soprannaturale. Si consumerebbe in tal modo una violenta e inaccettabile ingerenza del potere dello Stato sulla libertà di coscienza e sulla libertà religiosa.

Quando i peccati integrano fattispecie di reato, il confessore non ha la facoltà di subordinare l’assoluzione all’obbligo del penitente di denunciarsi alla giustizia civile. Ciò costituirebbe una violazione palese del principio di diritto naturale, riconosciuto in ogni ordinamento civile, secondo cui “nemo tenetur se detegere”.

Questo principio vale tanto per il caso in cui la colpa sia appresa in confessione dal penitente, quanto nel caso della colpa appresa dalla vittima: in entrambi i casi il sacerdote è vincolato al segreto. Nel caso della colpa confessata dal penitente, l’assoluzione postula “il sincero pentimento, insieme al fermo proposito di emendarsi e di non reiterare il male commesso” (Nota, cit.). In alcun modo, pertanto, il sacerdote manifesta connivenza con la colpa. Tutto al contrario, induce al pentimento effettivo e al ravvedimento operoso. Nel secondo caso, il sacerdote ha il dovere di istruire il penitente – che sia stato vittima – sui diritti a lui spettanti in sede civile e sui rimedi cui ricorrere per denunciare l’abuso sia in sede ecclesiastica che civile.

In alcun caso egli potrà essere l’intermediario per il passaggio dell’informazione all’autorità civile, pena trasformare – ancora una volta con violazione gravissima della libertà religiosa – il sacerdote in un funzionario dello Stato. 

4. Segretezza delle notizie apprese in sede di foro interno extra-sacramentale. – La Nota della Penitenzieria tratta anche il tema detto del foro interno extra-sacramentale, in particolare della direzione o dell’accompagnamento spirituale. E’ questo un tema di grande importanza su cui le autorità civili giudiziarie iniziano a insidiare capziosamente la libertà religiosa. Il “foro interno extra-sacramentale” è quell’ambito in cui “la Chiesa esercita la propria missione e potestà salvifica: non rimettendo i peccati, bensì concedendo grazie, […] occupandosi di tutto ciò che riguarda la santificazione delle anime e, perciò, la sfera propria, intima e personale di ciascun fedele” (Nota, cit.). Appartiene a questo ambito in modo particolare  la direzione spirituale (detta anche accompagnamento spirituale), che consiste nel rapporto di fiducia che il fedele instaura con un sacerdote (o anche con un religioso/a o con un laico/a) ai fini del discernimento della propria vocazione e della propria santificazione  personale.

Il sacerdote esercita questo ministero “in virtù della missione che ha di rappresentare Cristo, conferitagli dal sacramento dell’Ordine” (Nota, cit.), nell’ambito della comunione gerarchica della Chiesa; il laico/a esercita lo stesso ministero “in forza del sacerdozio battesimale e del dono dello Spirito Santo” (Ibidem).

Anche la direzione spirituale o l’accompagnamento spirituale debbono essere protetti dalla segretezza ad extra, “connaturata al contenuto dei colloqui spirituali e derivante dal diritto di ogni persona al rispetto della propria intimità (cf. can. 220 CIC)” (Ibidem).

Anche questo rapporto di intimità spirituale non deve essere infranto dall’autorità giudiziaria civile, che deve arrestarsi di fronte alla natura di una relazione che sorge dall’intimo bisogno della persona di un sostegno e di un consiglio di carattere spirituale rivolti all’approfondimento della relazione con Dio.

5. La riservatezza personale sopraffatta dalla trasparenza indifferente ai valori intimi della persona. – Il rischio della rottura del sigillo sacramentale va scongiurato in ogni modo, dovendo acquisire la nostra società la consapevolezza dell’importanza della libertà di coscienza e della libertà religiosa. Esse sono minacciate molto più insidiosamente di quanto, in modo purtroppo superficiale, si potrebbe pensare. Ciò per la ragione che, a differenza dei tempi passati, in cui il rischio dell’infrazione del sigillo e della segretezza del foro interno extra-sacramentale si annidava nelle condotte di personaggi altolocati, ai vertici del potere politico, che intendevano penetrare nei segreti di singole persone determinate, oggi il rischio è accresciuto in forza della diffusione di una fallace e continua ideologia della trasparenza, per cui tutto ciò che riguarda l’intimità della vita delle persone dovrebbe diventare noto a tutti. Quasi che una sorta di “diritto” di sapere tutto di tutti fosse diventato un diritto umano di ultima generazione! E’ singolare come il diritto alla riservatezza personale, sbandierato come diritto alla privacy, si sia rovesciato nel suo contrario!

Il mondo della comunicazione tende a sostituire alla realtà dei sentimenti e delle esperienze concrete relative alla vita intima di ciascuno un universo virtuale fatto di relazioni superficiali in cui tutto viene disvelato a tutti, siccome ritenuto privo di importanza vitale per le persone. In questo modo, come colui che vuole preservare la propria sfera di riservatezza sessuale viene tacciato di essere un soggetto retrivo, non al passo coi tempi, così più non varrebbe assolutamente la riservatezza personale in ordine alle proprie esperienze di vita. Queste esperienze sono intrise di cose buone e cattive. Ma la loro trasparenza di fronte all’intera collettività fa smarrire ogni loro connotazione intrinseca di valore o disvalore e le consegna al discredito, alla derisione e al disprezzo o, molto spesso, all’indifferenza.

A questa sfacciata trasparenza fa riscontro una spietata colpevolizzazione pubblica che mette subito alla berlina, anche prima di una sentenza giudiziaria, chi venga accusato delle più diverse colpe, da quelle gravissime a quelle anche soltanto frutto di debolezza, con violazione gravissima della presunzione di innocenza. In questo clima morale malsano si accumulano tensioni colpevoliste laceranti, disumanizzanti e spesso infondate.

I gravi crimini di pedofilia vanno puniti inflessibilmente: ma ciò non deve portare alla scomparsa dei valori giuridici della presunzione di innocenza e del diritto a non essere costretti ad autoaccusarsi delle proprie colpe di fronte al potere civile e alla collettività.

La libertà di ciascuno di dialogare in segreto con altri, per essere aiutato a superare le proprie difficoltà, non deve essere soffocato. A maggior ragione deve essere garantito a ciascuno il diritto di rivolgersi in segreto a Dio, onnipotente e misericordioso, per richiedere il perdono delle colpe, confessandole nell’ambito della ministerialità della Chiesa Cattolica al sacerdote che opera “in persona Christi capitis” per ottenere la riconciliazione spirituale.

6. Segreto professionale. – Un deputato che si è opposto alla legge del Queensland ha sostenuto che la nuova legge avrebbe inevitabilmente pesanti ricadute sul mantenimento del segreto professionale dei medici, degli avvocati e dei giornalisti.

A questo riguardo, premesso che non vi è alcuna commensurabilità tra il segreto che nasce dal vincolo sacramentale e il segreto che vincola queste categorie professionali, occorre dire che si sta da tempo verificando, nei paesi occidentali e, soprattutto, in Italia, una insidiosa erosione di tutte le forme tradizionali del segreto. Ciò avviene attraverso la dilatazione onnipervadente delle intercettazioni delle comunicazioni, anche tra persone presenti, anche attraverso l’uso di strumenti che infrangono il rapporto di fiducia più intimo tra le persone. Le intercettazioni di comunicazioni tra gli indagati nel procedimento penale e i loro professionisti, in particolare gli avvocati, sono all’ordine del giorno. Residua soltanto la sanzione di inutilizzabilità del risultato delle intercettazioni. In ogni caso, però tale sanzione non toglie la lesione radicale della segretezza del rapporto fiduciario. Anche il segreto professionale del medico è messo in acuta crisi dall’accumulo immenso dei dati sanitari per ragioni statistiche, che spesso vengono a finire nella disponibilità delle società assicurative.

La tutela del segreto è frutto di una civiltà che rispetta l’intimità delle persone. Lo smarrimento dei tratti essenziali di tale civiltà – tramite una comunicazione sfrontata – si riverbera sugli istituti giuridici tradizionali volti a garantire il diritto alla riservatezza di ciascuno. La legge del Queensland rappresenta il punto finale di un percorso avvelenato in cui viene sacrificato al falso idolo della trasparenza ciò che di più intimo e segreto appartiene alla persona umana.

Foto Ansa

Tags: australiaconfessionelibertà religiosa
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