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Home Chiesa

Una Chiesa povera per i poveri? Sì, ma «se non confessa Gesù Cristo, confessa la mondanità del diavolo»

Il rapporto tra carità e fede a tema della tre giorni triestina dei vescovi europei. Gli interventi di Bagnasco e di Robert Sarah (Pontificio Consiglio Cor Unum)

Redazione
05/11/2013 - 4:00
Chiesa
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Il capo dei vescovi italiani Angelo Bagnasco lo ha definito un «provvidenziale incontro» per ascoltare «ciò che lo Spirito vuole dire oggi alle Chiese». Ovvero – secondo la sintesi del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), organizzatore di questa tre giorni – un’occasione per comprendere e sviluppare la possibile «risposta della Chiesa cattolica in Europa alle sfide dell’attuale crisi economica». A tema dell’evento, ospitato dalla diocesi di Trieste e aperto ieri dall’intervento dello stesso cardinale Bagnasco e dalla relazione del cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, è stato posto il rapporto tra fede e carità, nell’intento di «suscitare nelle Conferenze episcopali e nelle singole diocesi d’Europa una rinnovata sollecitudine per l’impegno ecclesiale nelle attività caritative quale espressione autentica della fede». Tutt’altro che un generico invito a “fare del bene”, poiché per la Chiesa, come ha voluto precisare il cardinal Sarah, quello sulla carità «non è primariamente un discorso sociale, ma è un discorso teologico».

DUE VIE INSEPARABILI. Infatti, ha spiegato il cardinal Bagnasco, così come la fede non è un «diritto di scegliere Dio, o “il” dio che più si confà alle proprie esigenze», bensì, all’opposto, «si qualifica come risposta all’appello divino» che «coinvolge tutta la persona e tutti gli ambiti della sua esistenza», analogamente anche «la carità ha carattere responsoriale, perché non è frutto dell’iniziativa umana, ma di quella divina, a cui l’uomo deve rispondere con la sua libera adesione». Dove “libera” non significa però facoltativa, perché, ha sottolineato il presidente della Cei, fede e carità sono «le vie che Cristo stesso ha disposto» per la Chiesa, e sono «inseparabili l’una dall’altra», come scrive san Giovanni: «Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore». Lo ricorda anche la parabola del samaritano: «Non siamo stati noi ad amare Dio per primi e, raggiunti dal dono di Cristo, nessuno può più vivere né morire per se stesso», ha spiegato il cardinale.

AMORE E CONOSCENZA. Tuttavia «se la fede, per essere autentica, deve fiorire nella carità, dobbiamo ugualmente affermare che la carità è piena quando è espressione della fede, quando non è mera filantropia, ma si rende segno dell’amore ricevuto da Dio», ha detto Bagnasco. Per la Chiesa infatti l’amore non è una pulsione sentimentale, ma «fonte di conoscenza, come la tradizione biblica suggerisce sovrapponendo i verbi conoscere e amare». «”La verità – ha spiegato il cardinale citando la Caritas in veritate di Benedetto XVI – va cercata, trovata ed espressa nell’’economia’ della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità”. Priva di questo riferimento veritativo, che la lega strettamente alla fede e alla ragione, la carità può trasformarsi, secondo l’immagine della Caritas in Veritate, in “un guscio vuoto da riempire arbitrariamente”. Allora vi è il dilagare del relativismo, che non solo tradisce le istanze più profonde della fede, conducendo al suo svuotamento e alla sua privatizzazione, ma svilisce la stessa carità, riducendola a sentimentalismo».

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PORTARE CRISTO OGGI. «Bisogna allora guardarsi dalla tentazione di svolgere l’opera caritativa senza avvertire che essa ha una forte portata evangelizzante, o senza avere l’anelito di portare Cristo a coloro che vengono soccorsi», ha insistito il presidente della Cei. «Testimoniare la carità agli altri è rivelare il disegno del Padre che, mosso dall’amore ha inviato il Figlio unigenito nel mondo per redimere l’uomo», gli ha fatto eco il cardinal Sarah. Ribadire l’«origine teologica e più precisamente trinitaria di ogni attività caritativa», ha sottolineato il presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, è tanto più importante oggi in quanto «viviamo in una nuova era culturale, definita “post-moderna”, che propone, nella migliore delle ipotesi, un umanesimo senza Dio, abbinato ad un soggettivismo esacerbato, ideologie che vengono veicolate oggi dai mezzi mediatici e da gruppi estremamente influenti e finanziariamente potenti, nascosti dietro le apparenze del servizio internazionale e che operano anche nell’ambiente ecclesiale e nelle nostre agenzie di carità».

LA FILANTROPIA DEL DEMONIO. È dunque fondamentale «riportare la pastorale della carità alla sua sorgente, per evitare di ridurla ad una specie di attività di assistenza sociale, una pura espressione filantropica o una semplice solidarietà umana». Occorre resistere al tentativo – in atto in Occidente ma non solo, ha specificato Sarah – di ridurre la Chiesa ad un’agenzia etica, che cioè fornisce valori da applicare nella vita, oppure ad agenzia di assistenza umanitaria e sociale che si prende cura dei poveri, soprattutto in quelle situazioni che la mano pubblica non riesce a raggiungere. (…) Anche Papa Francesco, all’inizio del suo pontificato, ha affermato che “noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una Ong assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: ‘Chi non prega il Signore, prega il diavolo’. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio”».

CRISTO FATTORE DI SVILUPPO. Un concetto, quello della confessione, che già Benedetto XVI aveva legato strettamente alla carità. Il cardinale ha citato in proposito la Meditazione di Ratzinger alla prima Congregazione generale del Sinodo sulla nuova evangelizzazione (ottobre 2012): «I pilastri della nuova evangelizzazione sono la confessio e la caritas: sono i due modi con cui Dio ci coinvolge, ci fa agire con Lui, in Lui e per l’umanità. La confessio quindi non è da considerarsi una cosa astratta, bensì è caritas, è amore. Solo così è realmente il riflesso della verità divina, che come verità  è inseparabilmente anche amore. Questo amore è fiamma, accende gli altri; è una passione che deve crescere dalla fede, che deve trasformarsi in fuoco della carità». Il contrario, insomma, di quel “proselitismo” scansato esplicitamente di recente anche da papa Francesco. Del resto, ha aggiunto il porporato tornando alla Caritas in veritate, è sempre Benedetto XVI a chiarire che «l’annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo».

IL SOGGETTO È LA CHIESA. A Trieste sia Bagnasco che Sarah hanno voluto sottolineare con forza l’importanza della «dimensione ecclesiale» dell’attività caritativa, la necessità cioè che quest’ultima non tralasci la sua «missione evangelizzatrice che rechi all’uomo l’amore di Dio», secondo la definizione del presidente del Cor Unum. Perciò è fondamentale per le opere dei cattolici il coinvolgimento della Chiesa in quanto istituzione, a cominciare dai suoi pastori, i vescovi. Ha spiegato Bagnasco: «Non essendo un semplice dato psicologico, ma una realtà ontologica che ultimamente coincide con Dio stesso, anche la carità, come la fede, possiede un’intrinseca valenza comunitaria. È la Chiesa, e non i singoli, il vero soggetto delle varie azioni caritative svolte dai credenti o da associazioni ecclesiali di varia natura. Quando essi si mettono a servizio dei fratelli, infatti, lo fanno sempre a nome della Chiesa e in comunione con essa che in quel momento rappresentano».

Tags: angelo bagnascoBenedetto XVIcaritàcaritas in veritatecceeceichiesa cattolicaConsiglio delle Conferenze episcopali europeecrisicrisi economicafedePapa Francescotriestevescovivescovi italiani
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