Stando ai giudizi espressi dai principali analisti ed editorialisti politici italiani, il referendum sulla procreazione assistita ha sancito una dura sconfitta del concetto di laicità dello Stato, incoronando il cardinale Camillo Ruini come principale policy maker dello scontro politico interno e creando un vulnus sempre più insanabile tra due concezioni antitetiche del confronto istituzionale. L’Europa, poi, nell’ultimo fine settimana ha dimostrato tutta la sua inconsistenza politica, arenandosi sul dibattito riguardo il budget – volgarmente parlando, i soldi – quasi a voler delegittimare il significato profondo e popolare dei due “no” giunti da Francia e Olanda. E ancora le tensioni nel centrodestra, amplificate dalla fuga in avanti laicista di Gianfranco Fini e dal dibattito in fieri sul partito unitario proposto da Silvio Berlusconi. Dopo tanto chiasso e tante polemiche, il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, ha scelto Tempi per fare un punto della situazione politica generale e per lanciare un appello ad un rinnovato dialogo tra laici e cattolici nel solco di quella tradizione riformista che proprio a Milano è sorta e ha costruito le basi per una nuova stagione di riflessione e azione in nome del bene comune.
Presidente Formigoni, questa sera al Teatro Grassi di Milano il presidente del Senato, Marcello Pera, il giornalista Paolo Del Debbio e lei darete vita a un incontro che nelle intenzioni dovrebbe essere proprio un primo passo verso un nuovo dialogo all’interno della società. Allora non è vero che dopo la vittoria dell’astensione gli steccati sono destinati a crescere?
Al contrario. Anche perché, volendo essere onesti, le dimensioni della vittoria dell’astensione attiva sono tali da togliere qualsiasi dubbio rispetto all’ipotesi di una vittoria del Vaticano. è stata una vittoria – dettata da una scelta consapevole – del popolo italiano in tutte le sue componenti. La presenza cattolica resta ma lo fa in maniera minoritaria, la vera novità è stata quella di una convergenza di percorsi differenti che hanno voluto esprimere chiaramente il loro “no” a una novità che vedevano declinarsi in disvalore, in scienza scientista, nel disconoscimento del concetto stesso di maternità e paternità. è indubbio che il cardinal Ruini abbia giocato un ruolo importante ma allo stesso modo ricordo l’apporto altrettanto fondamentale di molti laici: inoltre stento a capire questa logica per la quale il cattolico va bene quando regge la bandiera altrui, penso alle manifestazioni pacifiste, e invece “invade il campo” della laicità quando si comporta secondo la propria libera coscienza. C’è stata un’inaccettabile delegittimazione degli avversari – i cattolici, i vescovi, i laici eretici – unita a una scomunica dell’astensionismo totalmente fuori luogo sia perché garantito dalla Costituzione sia perché gli stessi censori di oggi ne tessero le lodi quando fece loro comodo. Questo penso sia stato l’aspetto più triste e malinconico della vicenda.
E ora, cosa accadrà? Da più parti già si minacciano azioni in ambito internazionale e si chiedono modifiche parlamentari della legge.
Io mi schiero come sempre con il fronte realista. Ovvero, diamo tempo alla legge di essere verificata nella sua attuabilità concreta, valutiamo sul campo effetti, benefici ed eventuali aspetti da migliorare e poi, se sarà necessario, interveniamo. Questa richiesta tutta ideologica di intervento a prescindere la ritengo pretestuosa e figlia legittima della clamorosa sconfitta popolare subita dal fronte degli abrogazionisti. Applichiamola, se qualcosa non andrà bene in futuro interverremo.
Una cosa è certa, oltre che nel merito del quesito il referendum ha creato terremoti anche rispetto all’assetto politico interno. Cosa ne pensa?
I due schieramenti si sono chiaramente distinti fin dall’inizio, il centrodestra per l’astensione attiva e il centrosinistra per il “sì”. A complicare il calcolo sono intervenute le variabili, ovvero Francesco Rutelli e i frondisti del “no” a sinistra e Gianfranco Fini e Stefania Prestigiacomo nel centrodestra. Se la decisione di Rutelli ritengo sia non solo legittima ma dettata da una libertà di coscienza che andrebbe valorizzata e non demonizzata, sul fronte della Cdl – che tra l’altro ha votato e fatto passare la legge in Parlamento – le eccezioni mi sono sembrate dolorose oltre che sorprendenti. Lo dico perché, riferendomi a Fini, il mutare opinione su un tema così delicato in così poco tempo, contraddicendo inoltre la storia stessa del proprio partito, è davvero spiazzante. Era ovvio che una simile scelta ponesse un gravissimo problema interno: il leader di un partito ne incarna il sentire comune, mentre così facendo Gianfranco Fini si è posto in antitesi.
Dal fallimento degli abrogazionisti a quello dell’Europa: presidente Formigoni, come valuta i due “no” francese e olandese e il fallimento del vertice di Bruxelles?
Penso che, dopo la vittoria dei “no” ai due referendum, il fallimento di questo fine settimane fosse inevitabile e, paradossalmente, penso anche che scegliendo la logica del “fermiamo tutto” si sia scelto anche il male minore. Anzitutto perché quando le opinioni pubbliche di due paesi fondatori mandano un messaggio politico così chiaro è saggio fermarsi a riflettere piuttosto che incaponirsi e proseguire su una strada sbagliata. E poi perché ritengo di fondamentale importanza che la politica si prenda la responsabilità di interrogarsi su un tema chiave: ovvero, che Europa vogliamo? è ormai limpido che i cittadini dell’Ue non sentono loro un’Europa di burocrazie e diktat dall’alto, un’Europa che incasella giudizi ideologici invece che fondarsi su grandi ideali come era nella sua tradizione, da Schumann ad Adenauer a Schimdt. Prendiamo il tema dell’allargamento: ritengo la scelta giusta, ma è stata gestita in maniera completamente sbagliata e il fatto che la lite principale si sia consumata sul budget, ovvero sui soldi, fa capire che si è provveduto a un’operazione di ingegneria politica e geopolitica non tenendo in debito conto le varie realtà e l’impatto che questa scelta avrebbe sortito. I grandi paesi hanno paura di diventare più poveri, si chiudono in un egoismo che forse tale non è: è insicurezza cui nessuno ha saputo dare una risposta prima di tutto politica e ideale.
Anche l’euro è finito sul banco del imputati.
Per l’euro vale lo stesso ragionamento, scelta giusta che però andava gestita meglio. Ad esempio bisognava lottare per una diversa parità di cambio visto che la nostra era ed è francamente eccessiva, inoltre servivano misure per aiutare la gente durante il changeover atte a far conoscere la moneta e facilitarne la gestione. E poi la doppia circolazione, l’euro di carta invece che di moneta, la doppia pezzatura per un periodo più lungo. Tutti accorgimenti che era possibile prendere e che invece si è preferito sacrificare alla fretta, all’euroentusiasmo. Inoltre, visto che la leva monetaria non è più in mano agli Stati, penso che sarebbe stato meglio discutere con attenzione rispetto alla scelta della Bce di parità tra euro e dollaro, soprattutto in un momento in cui bisognava puntare sullo sviluppo. Un tempo il nemico era l’inflazione, ora è il declino. Bisognava avere il coraggio di alzare la voce tutti insieme per chiedere quali fossero gli obiettivi della moneta unica, visto che non solo l’Italia ma tutta Europa sta male per l’impatto della globalizazzione, la concorrenza di Cina e India e le scelte strategiche della Federal Reserve. Penso, a tal fine, che questo stop possa essere salutare se i prossimi mesi verranno utilizzati per riflettere su questo, compreso il budget, la sua composizione e soprattutto la sua destinazione d’uso.
Torniamo in Italia, cosa ne pensa del partito unico proposto da Berlusconi per il centrodestra?
Partito unitario, non unico. Lo specifico perché fui io, per primo, a far mia la distinzione fondamentale tra i due soggetti e sono contento che ora Berlusconi abbia voluto recepirla. In generale penso però che ci sia un eccesso di ragionamento geometrico, ovvero si parla troppo di contenitori e poco di contenuti. è inutile continuare a riempire il tempo con dibattiti come quello sul cambio di leadership se poi ci dimentichiamo il motivo per cui siamo costretti a questa riflessione: e cioè che la gente, attraverso più tornate elettorali, ci ha detto che è delusa di noi, della nostra politica e del fatto che ci sente lontani. Tutte queste discussioni sono una perdita di tempo se non ci chiediamo quali sono e quali devono essere gli obiettivi delle nostre politiche. Dobbiamo ricominciare da lì, dalla centralità di famiglia e persona, dal sostegno al lavoro e allo sviluppo e non alle operazioni finanziarie. Detto questo, anzi fatto questo, si potrà parlare di partito unitario, uno sviluppo chiaramente utile perché rende più limpido il bipolarismo. Una cosa deve essere chiara, però: per portare a termine ciò che ci siamo prefissi non possiamo arroccarci, dobbiamo aprirci alla società e a tutti i contributi riformisti che da essa ci arrivano. Bisogna insomma dare attuazione al concetto di collaborazione fattiva tra laici e cattolici. Forza Italia, d’altronde, è nata proprio per questo, per tenere insieme storie, percorsi ed esperienze diverse unite in un grande progetto riformista: solo così potremo attrarre a noi chi non si fida della sinistra ma non vota centrodestra. In Lombardia, così facendo, abbiamo vinto le elezioni: aprendo ai corpi sociali e all’economia.
Veniamo proprio alla Regione: quali sono gli obiettivi di questo terzo mandato?
Sicuramente prioritari sono alcuni progetti che ruotano attorno alla formazione e al capitale umano con la creazione di nuovi strumenti formativi e di master internazionali che garantiscano interscambio di studenti e studiosi tra le università lombarde ed estere: in questo modo puntiamo anche al ritorno in Italia di tanti cervelli fuggiti per mancanza di opportunità. E poi la ricerca e lo sviluppo, con un grande piano per le nostre aziende attraverso progetti d’innovazione per i quali negli ultimi dieci anni abbiamo stanziato risorse con un aumento del 50 per cento: l’obiettivo, in tal senso, è destinare il 3 per cento del Pil. Questo grazie anche al coinvolgimento dei capitali privati e all’addio una volta per tutte alla logica dei finanziamenti a pioggia.
Il prossimo anno si vota per il sindaco di Milano: come valuta la situazione?
Difficile, visto che gli elettori hanno già manifestato il loro disagio. E per questo di fondamentale importanza per tutto il paese. Il risultato è tutt’altro che sicuro e acquisito, per questo bisogna aprire la coalizione al coinvolgimento delle forze sociali e dei corpi intermedi.
Come questa sera al Grassi, un incontro per aprire e non per chiudere.
Certo, quello di questa sera sarà un incontro per parlare di queste cose e per lanciare delle proposte di coinvolgimento a chi crede in queste prospettive di sviluppo della società. Vogliamo, nel nostro piccolo, diventare un punto di riferimento per il dialogo tra laici e cattolici, un raccoglitore per elaborare proposte che giungono dal basso e che vanno a unirsi alle nostre. Una sfida, insomma.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi