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Un Manifesto per la biodiversità di buon senso e buona scienza

Il documento preparato da un gruppo di insigni naturalisti italiani che contiene molte idee ragionevoli su come conservare l'ambiente senza scadere nell'ideologia

Rodolfo Casadei
24/03/2021 - 12:30
Ambiente, Società
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campo agricolo trattore vista drone

Anche le wilderness, le aree incontaminate dove regna la natura più selvaggia, devono essere ragionevolmente fruibili dalla popolazione umana; caccia e pesca non vanno proibite, ma rigorosamente regolamentate perché siano svolte in modo associativo, cioè coinvolgendo cacciatori e pescatori residenti sul posto nella conservazione del patrimonio faunistico ed ittico; l’agricoltura non è il nemico della biodiversità, ma un fattore del suo incremento se è praticata in certi modi; gli zoo e i parchi faunistici non sono prigioni per animali, ma istituzioni indispensabili a scopi didattici e alla salvezza di molte specie in via di estinzione che poi vengono reintrodotte in natura; è giusto eliminare gli esemplari delle specie alloctone, cioè animali e piante di origine esotica che hanno invaso gli ecosistemi italiani, anche se gli animalisti piangono, ma senza esagerare all’opposto con inutili sterminî.

I firmatari del Manifesto

Sono all’insegna della ragionevolezza, del buon senso e della sana scienza i contenuti più originali del “Manifesto di Napoli – Azioni per la biodiversità”, un documento redatto non da un’associazione di imprenditori attenti al profitto o da un manipolo di bastian contrari, ma da alcuni dei più prestigiosi naturalisti italiani, soprattutto zoologi, che lo hanno sottoscritto e inviato all’attenzione del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani. Personalità come Bruno Massa, uno dei maggiori entomologi italiani, che nella sua carriera ha scoperto 56 nuove specie di ortotteri e di coleotteri; come Franco Andreone, erpetologo (cioè studioso di rettili e anfibi) di fama internazionale, vincitore del premio Sabin Amphibian per la conservazione degli anfibi; come Fernando Boero, zoologo esperto di biodiversità marina, scopritore di specie sconosciute di meduse, pluripremiato in Italia e all’estero e attualmente docente presso l’Università di Napoli Federico II. Sotto l’ala della Società italiana per la storia della fauna Giuseppe Altobello, questi e altri accademici e naturalisti di fama hanno voluto dare il loro contributo intellettuale al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il programma di investimenti che l’Italia ha presentato all’Europa per usufruire dei fondi di Next Generation Europe. Fra le sei “missioni” del Piano c’è infatti quella che si chiama Rivoluzione verde e Transizione ecologica, e al suo interno 22 miliardi di euro sono destinati alla Tutela e valorizzazione del territorio e della risorsa idrica e alla componente Impresa verde ed economia circolare.

Un istituto naturale per la Biodoversità

Il manifesto esordisce manifestando adesione alla «Comunicazione congiunta degli esperti del Comitato per il Capitale Naturale (un ente al servizio del ministero dell’Ambiente istituito con una legge del 2015 – ndr) sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, in modo particolare alla proposizione “che una vera e grande opera pubblica nazionale dovrebbe essere fondata sul ripristino del nostro meraviglioso territorio, attraverso il recupero di tanti ambienti naturali terrestri e marini, deteriorati e danneggiati da decenni di utilizzo scriteriato delle risorse naturali”» e si augura che possa essere presto creato un Istituto nazionale per la Biodiversità. Dopodiché vengono proposti una serie di contenuti che appaiono come la sintesi di sensibilità sociale e sensibilità per la conservazione dell’ambiente, e che sfidano parecchi luoghi comuni.

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Aree protette

«Le aree protette», si legge nel paragrafo dedicato alle wilderness, «possono crescere solo mediando tra soddisfazione generale e vantaggio ecologico. Possono convivere con aree agricole a bassa intensità, nonché con attività pastorali e di pesca artigianale che, producendo un reddito, valorizzano anche la conservazione. La biodiversità va protetta a vantaggio dell’intera popolazione umana, e non come curiosità di privilegiati, in modi anche innovativi che tengano conto dei concetti di compatibilità, bellezza e natura incontaminata. Nelle Aree Wilderness dovrebbero essere soddisfatte tutte le finalità di un’area protetta, dalla mera conservazione della biodiversità, agli scopi scientifici e di studio, a quelli ricreativi e finanche spirituali e, almeno secondo un criterio europeo, anche quelli relativi all’uso sostenibile delle risorse naturali».

Caccia e pesca

Su caccia e pesca si legge: «Per quanto attiene le attività di prelievo, gestione venatoria e pesca sportiva, esse devono cogliere solo i frutti del capitale, gestendolo e tutelandolo. Tutte le azioni devono svolgersi seguendo i seguenti principi: professionalità (a), conoscenza del bene (b), svolgimento della caccia in ambiti privati o comunali ma in modo associativo (c), pubblicazione annuale dei programmi, dello status della fauna e dei risultati di gestione (d)».

La funzione degli allevamenti

Gli allevamenti a scopo commerciale vengono criticati sia per ragioni ecologiche che morali, ma si propongono interessanti alternative: «Ben noti sono anche i problemi ecologici creati dagli allevamenti terrestri intensivi (inquinamento, uso del suolo ecc.) ma si deve ricordare che questi producono anche sofferenza in animali costretti in situazioni altamente innaturali. È necessario studiare sistemi di allevamento sostenibili dal punto di vista economico ed etico. Deve essere studiata ed opportunamente incentivata la pratica degli allevamenti estensivi che in particolare nelle aree collinari e montane possono avere un’importante funzione ecologica e paesistica. È inoltre necessario approfondire lo studio per la produzione di carne coltivata in vitro, che se praticabile su scala commerciale potrebbe essere una parziale alternativa all’allevamento».

Agricoltura e cura del paesaggio

L’agricoltura, che nelle nostre campagne ha creato il “paesaggio a mosaico” che presenta una benefica pluralità di ecosistemi, va coinvolta nella difesa della biodiversità che essa stessa ha alimentato, ma che in epoca moderna è entrata in crisi a causa dell’industrializzazione agricola: «La conservazione di molte specie di animali e vegetali legate agli agroecosistemi è una delle principali emergenze a livello europeo. Molte specie sono in declino a causa dell’intensificazione delle pratiche agricole in pianura e dell’abbandono di pascoli e aree rurali in montagna. Sono quindi prioritari gli interventi di conservazione del paesaggio a mosaico mediante la conservazione delle specie legate agli ambienti aperti ed una gestione oculata di questi habitat, in particolare prati permanenti, fasce prative, pascoli, vigneti, siepi, incolti e arbusteti (…). Gli agricoltori, oltre ad essere custodi del territorio, sono anche imprenditori e come tali vanno coinvolti chiedendo loro di intraprendere iniziative serie e funzionali alla protezione della biodiversità e sovvenzionando i progetti di riqualificazione ambientale seri e utili».

Zoo e parchi faunistici

Anche la difesa di zoo e parchi faunistici – fatta da un gruppo di studiosi composto prevalentemente di zoologi – è convincente: «A partire già dal diciannovesimo secolo, gli zoo hanno cominciato a dedicarsi alla salvezza di alcune specie di grandi mammiferi in pericolo d’estinzione e che in buona parte effettivamente scomparvero, salvo essere reintrodotti in seguito, con successo, grazie agli esemplari allevati in cattività con la salvezza di moltissime specie, con successo attorno al 95% dei casi. Gli zoo permettono inoltre un contatto diretto per milioni di persone al mondo della natura, e contribuiscono a forgiare i ricercatori e gli ambientalisti del domani grazie alle emozioni, alle esperienze e all’apprendimento. Tutto ciò anche perché il contatto reale con gli animali non è sostituibile con la lettura di libri, la visione di documentari o la “realtà virtuale”. (…) Pensiamo quindi che il Ministero della Transizione Ecologica oggi debba prendere parte attiva nel difendere e promuovere gli zoo».

Covid-19 e immunità di paesaggio

Il manifesto prende spunto dall’epidemia di Covid-19 per affrontare anche la questione delle zoonosi, le malattie trasmesse dagli animali all’uomo attraverso virus che fanno il salto di specie, e a questo proposito introduce il concetto inedito di “immunità di paesaggio”: a determinare l’aumento delle zoonosi sono la frammentazione degli ecosistemi, la concentrazione di un numero eccessivo di individui di una specie in un’area ristretta e i loro contatti frequenti con esseri umani. Si tratta allora di creare “corridoi ecologici” che connettano gli habitat di una stessa specie, così che i suoi individui possano spostarsi in aree meno affollate. Questo naturalmente avrebbe conseguenze positive anche sulla biodiversità, perché permetterebbe gli scambi genetici che l’isolamento impedisce.

Insomma, le idee ci sono e gli uomini pure. Ora serve il riscontro delle istituzioni.

Foto di Bence Balla-Schottner da Unsplash

Tags: agricolturabiodiversitanatura
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