Alla domanda «cosa c’entra la Puglia con Formigoni?», Gabriele Albertini, europarlamentare del Pdl, ex sindaco del capoluogo lombardo, non si scompone: «Formigoni, dopo 20 anni di governo, viene indagato, sempre che lo sia veramente, con quella che è pur sempre un’accusa e non una condanna. Ci sono governatori che sono in sella da due soli anni come Vendola che si ritrovano con i bilanci dissestati e gli assessori in prigione. Quale severità si dovrebbe usare con loro? Altro che dimissioni, ci vorrebbe l’ostracismo, l’esilio temporaneo perché costituiscono una minaccia per la regione. Con il divieto di rientrare nei confini della Puglia per dieci anni come nell’antica Grecia…».
Nell’intervista che appare oggi sul Corriere della Sera, Albertini difende a spada tratta il governatore lombardo: «La politica, i media e la magistratura hanno usato un occhio di riguardo confronti di qualcuno» perché «per analogia, Formigoni rispetto a Vendola è un santo. Lui, almeno per il calcolo delle probabilità, ha avuto 20 anni per commettere degli errori. E se per 20 anni non sei mai stato sfiorato da uno schizzo di fango e nella situazione più critica possibile – nel senso che sappiamo quanto sia attenta, solerte e aggressiva la Procura nello scrutare quello che avviene nel centrodestra e poi magari si dimentica di Penati – il problema certamente c’è, però bisogna mantenere un giudizio equilibrato». Che consiste, secondo Albertini, nel rilevare che «nessuno ha potuto smentire i numeri circolati durante il Lombardia day. La Lombardia ha un’amministrazione eccellente, non ha buchi di bilancio, costa infinitamente meno di altre regioni. È un modello. Quelle contro Formigoni sono tutte accuse da provare mentre non c’è nulla da provare sul buon governo della Lombardia». Sul tanto richiesto «passo indietro», auspicato dall’opposizione, l’intervistato non ha dubbi: «Tutti si dimenticano che se cade il presidente, e lui non è tenuto a dare le dimissioni, cade la Regione. E così si butta via tutta la legislatura. Mancano tre anni di governo e il senso di responsabilità può indurre a mantenere il ruolo per ragioni etico-istituzionali».