Un cattolico non può dire «ha da passà ‘a nuttata»

Di Peppino Zola
05 Gennaio 2021
Un articolo di Galli Della Loggia risolleva il tema dell'irrilevanza dei cattolici. I quali, religiosi o laici che siano, hanno un compito

Caro direttore, ho letto con molto interesse l’articolo di Galli della Loggia del 30 dicembre 2020, apparso sul Corriere della Sera (“I grandi temi che la Chiesa ha pensato di non vedere”), con il quale l’acuto storico denuncia, in termini molto crudi, il «declino e la crisi gravissima che il cristianesimo sembra conoscere attualmente». Anche se non occorrono molte prove per affermare quanto sopra, Galli della Loggia fa riferimento sinteticamente ad alcuni dati di fatto, come «la quantità di edifici religiosi che in tutti i Paesi europei hanno chiuso i battenti. Specialmente le chiese, trasformate in gran numero in supermercati, sale bingo o centri commerciali». Tale articolo, poi, si dilunga nell’elencare alcune conseguenze di tale crisi e nell’identificarne alcune cause. Per ora, sorvolo su tali considerazioni. Vorrei soffermarmi, invece, sul principale dato di fatto denunciato da Galli della Loggia, dato di fatto che, peraltro, è sotto gli occhi di tutti. Anche le statistiche confermano detta situazione: continuano a diminuire le presenze dei fedeli ai gesti liturgici della Chiesa e tale diminuzione si è accentuata a causa delle cervellotiche misure messe in atto durante la presente pandemia. Ma non basta: continua a diminuire la presenza culturale e politica dei cattolici, la cui irrilevanza, invece, è in continuo aumento. Questo è il dato di fatto, che non può non preoccuparci, pur tenendo presente che ci è stato assicurato che «le tenebre non prevarranno», il che ci permette di vivere e lottare, comunque, lieti.

All’articolo di Galli della Loggia ha risposto, sul Corriere del 3 gennaio, l’arcivescovo Bruno Forte (“Il bisogno e la ricerca di Dio rimangono sempre vivi e presenti”), il quale prende atto di questo dato indiscutibile, anche se esso pare venire accettato quasi fatalisticamente, come dato di cui prendere atto dal punto di vista statistico, ma poco di più. L’autorevole vescovo poi, in forza del suo alto prestigio pastorale e teologico, sembra consolarsi o voler consolare, comunicando al suo interlocutore che «tanti dei nostri ragazzi portano in sé domande esigenti sul senso della vita, sul bene e sul male, e quando si entra con loro in dialogo sincero sono tutt’altro che distratti e annoiati» e che «il bisogno e la ricerca di Dio restano vivi e presenti». Queste parole, in verità, costituiscono un’aggravante per gli uomini di Chiesa, laici compresi. Perché? Perché, se è vero che la domanda religiosa persiste (e non potrebbe essere altrimenti, come ha dimostrato il servo di Dio don Luigi Giussani nel suo magistrale Il senso religioso), per quale ragione la Chiesa non riesce a darvi risposta? La mia risposta è semplice: perché non tenta neppure di farlo. I cristiani sono stati presi da un inspiegabile senso di inferiorità (proprio loro che credono ad un Dio risorto), per il quale sono diventati timidi, se non addirittura silenti, nell’annunciare la grande novità avvenuta nel mondo, con la nascita, passione, morte e resurrezione di Cristo. I cattolici occidentali, là dove ancora ci sono, si perdono in tante parole inutili, che girano intorno al problema di Cristo, ma non lo affrontano mai direttamente. Dove, invece, ciò è avvenuto, dove, cioè, la proposta di Cristo è stata annunciata in modo deciso ed elementare, molti giovani e adulti si sono convertiti, molte vocazione sono maturate, molte opere nuove sono state messe in atto, molta speranza è stata seminata.

Da parte della nostra amatissima «Chiesa impegnata nell’annuncio della buona novella» (parole del vescovo Forte), prima che liberarsi di alcuni errori del passato (con il rischio di essere ideologici), si dovrebbe  avere più fiducia nell’annuncio diretto di Cristo, di cui Gesù stesso chiedeva di non avere vergogna. In Occidente, ed in particolare in Germania, i cattolici pensano di essere più efficienti nell’annuncio di Cristo deformando le sue parole e la sua dottrina e minacciando addirittura uno scisma da Roma: penso che non vi sia nulla di più sbagliato. Nella storia della Chiesa, i santi si sono comportati in modo diverso, come ha dimostrato recentemente anche un film su Chiara Lubich: si sono attaccati alla parola di Gesù come vissuta dalla tradizione della Chiesa e l’hanno riproposta agli uomini e alle donne del proprio tempo, testimoniando che solo la conversione a Cristo può cambiare se stessi e quindi il mondo.

Noi cristiani, sacerdoti, religiosi o laici che siamo, abbiamo un solo compito ed una sola responsabilità: non avere paura o vergogna di annunciare Cristo salvatore. Tutto il resto è perdita di tempo. San Paolo ci ha ammonito ad annunciare Cristo opportunamente, ma, occorrendo, anche inopportunamente. Ho l’impressione che i cristiani di oggi, per il timore di essere inopportuni, finiscono con il non annunciare più alcunché. Ma sappiamo che le tenebre non prevarranno. Si potrebbe dire, laicamente: “Ha da passà ‘a nuttata”.

Caro direttore, per tutto questo, occorre, innanzi tutto, riprendere una educazione, cioè una strada chiara e comunitaria.

Peppino Zola

Foto Ansa

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