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Ucraina, scene da 1914. Così le grandi potenze e il tifo dei giornali dividono un paese invece che unirlo

Mentre la rivolta di piazza Maidan ha portato il paese sull'orlo della divisione, con Putin che sta per occupare definitivamente la Crimea, l'Occidente invece che cercare un compromesso soffia sul fuoco

Leone Grotti
09/03/2014 - 1:00
Esteri
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«Siamo sull’orlo del disastro». A tre mesi dall’inizio della rivolta in piazza dell’Indipendenza, conosciuta come piazza Maidan, il nuovo premier ucraino Arseniy Yatsenyuk grida «all’allarme rosso»: mentre Kiev richiama d’urgenza i riservisti, Mosca si è presa la Crimea, inviando sul campo tra i 6 mila e i 15 mila militari. I soldati russi «in incognito, senza mostrine ma con un accento inconfondibile e a bordo di mezzi militari targati Russia» hanno occupato nel fine settimana tutti i centri di potere di Simferopoli, capitale della Repubblica autonoma di Crimea, accerchiando le basi militari ucraine.

In Crimea, che si trova nel Sud del paese, la maggioranza della popolazione è russofona, i dimostranti di piazza Maidan vengono chiamati «fascisti» e il nuovo governo provvisorio è definito senza mezzi termini «regime illegittimo», a conferma che il paese è diviso e non è tutto unito attorno ai dimostranti. Il Parlamento della Crimea è stato occupato lo scorso 27 febbraio da un manipolo di 30 uomini abbigliati con tute mimetiche, a cui è seguita l’elezione di un nuovo primo ministro della Repubblica autonoma, Serghiei Aksyonov, che ha chiesto «al presidente Putin di aiutare a garantire la pace e la calma sul territorio». Il presidente russo non se l’è fatto ripetere due volte e ha ottenuto dalla Duma il permesso di difendere la popolazione russa in Crimea e in Ucraina.

tempi-copa-ucraina-putin-obama«La Crimea ora è in mano ai russi, è già un’altra cosa rispetto all’Ucraina», dichiara a Tempi Fausto Biloslavo, inviato nel paese per Il Giornale. «Ma non è stato sparato neanche un colpo di fucile». I soldati ucraini non hanno fatto resistenza: interi reparti dell’esercito sono passati dalla parte delle autorità locali filorusse, il comandante in capo della Marina ucraina ha giurato fedeltà «al popolo della Crimea» insieme ad altri cinque comandanti.
Kiev li ha subito deposti e accusati di alto tradimento ma come spiegava a tempi.it Sergio Romano, ex ambasciatore in Unione Sovietica e giornalista, la storia di questo territorio giustifica simili comportamenti: «La Crimea tradizionalmente non è ucraina ma russa: è stato un dono di Kruscev quando le frontiere non contavano niente perché si trattava di Stati federati dell’Unione Sovietica. Fu un gesto di generosità, e poi Yeltsin non la reclamò indietro per non creare tensioni, chiedendo in cambio un accordo pluriennale per la base navale di Sebastopoli, poi rinnovato a più riprese» (attualmente fino al 2017, ndr). L’occupazione della Crimea da parte della Russia è partita proprio da Sebastopoli, dove è di stanza la flotta russa del Mar Nero, e ora gli stessi abitanti della Repubblica autonoma potrebbero chiedere di riavvolgere il nastro della storia: il Parlamento ha annunciato infatti un referendum per il prossimo 16 marzo, dove dovrebbe essere messa ai voti l’indipendenza del territorio dall’Ucraina.

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«Questa è solo l’ultima battaglia di una nuova guerra cominciata tre mesi fa con la rivolta di piazza Maidan», prosegue Biloslavo. Nel novembre scorso Kiev, seguita da numerose città dell’Ucraina occidentale, ha cominciato a protestare contro il governo del presidente Yanukovich, che ha stralciato all’ultimo momento un accordo commerciale di libero scambio con Bruxelles. Il presidente eletto nel 2010 si è giustificato affermando che con la firma del trattato il suo paese avrebbe perso qualcosa come 500 miliardi di dollari di esportazioni verso la Russia, che nel contempo offriva un investimento di 15 miliardi di dollari in titoli di Stato ucraini e una riduzione di un terzo del prezzo del gas.

Davanti alle proteste, alimentate e sostenute dalle prese di posizione dell’Unione Europea che ha cominciato a definire il governo ucraino un «regime», Yanukovich ha reagito malamente con l’uso della forza, ordinando alla polizia e ai cecchini di caricare e sparare sulla folla, causando così la morte di oltre 100 persone in due giorni. Quando sembrava che la piazza e il governo potessero raggiungere un accordo, il 22 febbraio la situazione è precipitata, il Parlamento ha deposto il presidente Yanukovich, accusato di crimini contro l’umanità e scappato in Russia, e ordinato la liberazione di Yulia Tymoshenko, in carcere per corruzione dal 2011 e tra i leader della rivoluzione arancione del 2004.

«Ci vorrebbe un Havel»
La protesta ucraina, nata principalmente per chiedere il «rispetto della dignità del popolo» e per questo appoggiata dalle Chiese ucraine, non è però priva di contraddizioni. Come affermato da Sergio Romano «è composta da nuclei diversi e spesso non riconoscibili: ci sono persone che confezionano bombe molotov, milizie organizzate, armate e pronte a combattere. Si tratta di elementi del vecchio nazionalismo ucraino, che è anti-russo e che nella storia è emerso quando ha goduto di un appoggio esterno». Tra le fila dei giovani di piazza Maidan, a fianco dei leader moderati Klitschko e Yatsenyuk, nominato nuovo premier del paese, c’è quindi anche un mondo «ultra-nazionalista», come faceva notare a tempi.it Georges Nivat, slavista francese di 79 anni, grande conoscitore della Russia e di Solzenicyn, professore onorario dell’Università di Ginevra e dottore honoris causa dell’Università Mohyla di Kiev.

«La rivolta generalmente non è russofobica, tranne che in alcune città come Lviv o Ternivtsy. Però molti ribelli sono guidati da Tyahnibok, che è troppo occidentale e legato all’area violenta e antisemita. Non è certo la persona adatta per riconciliare il paese e non si può parlare di vittoria della rivoluzione se il paese si divide in due». Mentre è proprio di riconciliazione che l’Ucraina avrebbe bisogno oggi: «Il paese è sull’orlo della guerra – continua Nivat –, ma serve un compromesso: in molte città la maggioranza della popolazione non vuole perdere i suoi legami con Mosca. Molti ucraini che vivono nell’est lavorano in Russia e lì hanno famiglia. Quello che chiede la rivolta è che vengano rispettati i legami storici di questo paese con l’Europa ed è giusto, ma non è possibile immaginare un’Ucraina senza ottimi e forti legami con la Russia: le due parti devono vivere insieme».
Per questo ci vorrebbe un «leader, perché se non si aiuta Kiev a ricostruire il dialogo la rivolta di Maidan sarà stata inutile: ci vorrebbe un Walesa, un Havel, un Giovanni Paolo II ucraino ma in questo momento, e spero di sbagliarmi, non mi sembra che la Tymoshenko sia la persona giusta. Lei è stata responsabile del caos precedente e non ha quell’aura che fa di una persona un mito».

La condizione delle casse ucraine rende ancora più complessa la situazione: il ministro delle Finanze ad interim Yuriy Kolobov ha dichiarato che il paese ha bisogno di 35 miliardi di dollari per uscire dalla crisi. L’Unione Europea ha da offrire poco più di 600 milioni, mentre il Fondo monetario internazionale potrebbe garantire un prestito di 20 miliardi, a patto che Kiev accetti austerity e tagli in versione greca. La Russia ha però intenzione di esercitare tutto il suo potere economico per fare pressione: dopo aver congelato i 15 miliardi di aiuti promessi all’ex presidente Yanukovich, Gazprom ha ricordato al governo l’enorme debito accumulato, oltre un miliardo e mezzo di dollari in mancanti pagamenti, tanto che il Cremlino ha dichiarato che «non ha alcun senso» prorogare al secondo trimestre 2014 l’accordo sugli sconti per le forniture di gas.

Ora più che mai servirebbe un intervento da parte dell’Occidente per riconciliare le due anime di un paese dove nelle città occidentali sono già state abbattute circa cento statue di Lenin e rimosse dalla sommità degli edifici le stelle rosse sovietiche, mentre in molte città orientali migliaia di persone sono scese in strada, a Kharkiv per proteggere il busto del dittatore comunista («rappresenta la nostra storia, è un simbolo importante») e a Donetsk per protestare contro il nuovo governo, a favore «dell’aspirazione della Crimea di ricongiungersi alla Russia».

Il risveglio dell’orso russo
L’Unione Europea, invece, così come gli Stati Uniti hanno scelto un’altra strada che ricorda gli anni della Guerra fredda, se non addirittura il 1914. «L’Occidente come al solito cerca di fare il furbo», spiega Biloslavo. «Per mesi ha cavalcato la rivolta di Maidan, senza rendersi conto di tutte le sfumature di questa protesta, e poi quando è scoppiato il bubbone, provocato anche dal suo intervento, ha gridato allarmato al lupo. Ma l’Europa non poteva immaginare fin dall’inizio che a forza di cavalcare la tigre rischiava di risvegliare l’orso russo?». Dopo l’occupazione della Crimea, le segreterie degli Stati occidentali hanno usato toni durissimi con Mosca.
Angela Merkel ha parlato di «inaccettabile intervento russo», Barack Obama, che ha discusso senza costrutto al telefono per un’ora e mezza con Putin, ha dichiarato che «il Cremlino pagherà il prezzo per aver violato il territorio ucraino», un prezzo dettagliato così dal segretario di Stato americano, John Kerry: «Mosca rischia il suo posto all’interno del G8. Si sta comportando come se fossimo nell’800, invadendo un altro paese sulla base di pretesti completamente inventati. Ogni singolo alleato degli Stati Uniti è pronto ad andare fino in fondo, allo scopo di isolare la Russia mettendo al bando i visti, congelando i beni e lasciandoli soli dal punto di vista commerciale».

Kerry ha anche ribadito che «l’ultima cosa che gli Stati Uniti vogliono è un’azione militare» ma a stemperare i toni ci ha pensato la Germania, con il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier: «Il format del G8 è il solo dove noi occidentali parliamo direttamente con la Russia. Dovremmo davvero sacrificarlo?». Più che fomentare e peggiorare uno stato di guerra, «credo che dovremmo vedere come contribuire a una distensione della situazione in Ucraina». Parole condivise anche dal governo italiano: «Violare l’integrità territoriale dell’Ucraina sarebbe inaccettabile», afferma una nota diramata dopo un vertice tra il premier Renzi e i ministri di Difesa ed Esteri Pinotti e Mogherini. «Al tempo stesso il governo italiano esorta le autorità di Kiev a promuovere ogni sforzo volto alla stabilità e alla pacificazione del paese nel rispetto della legalità e della tutela delle minoranze».

Dividere il paese in filoeuropei buoni e filorussi cattivi, una semplificazione operata dai giornali e molto simile a quella usata per la guerra in Siria, non servirà a ricostruire un dialogo nel paese. «L’Europa si è resa conto di aver scherzato con il fuoco», continua Biloslavo. «Inglesi, francesi, americani e tedeschi hanno cavalcato la protesta di Maidan e ora l’orso russo si è svegliato e con una zampata si è ripreso la Crimea. Adesso la Germania cerca di tornare indietro. Kerry minaccia Mosca ma la domanda da porsi è: e dopo? Cosa succederà quando la Russia sarà stata cacciata dal G8? Le cose non cambieranno, anzi, potrebbero peggiorare perché Putin potrebbe estendersi nell’est dell’Ucraina, dove c’è una forte presenza di russofoni ma la situazione è più a macchia di leopardo. Ora serve trattare con Mosca, ma non potevamo pensarci prima ed evitare di fomentare la rivolta ucraina?».

Per rispondere al Cremlino, Kiev ha «richiamato i riservisti ma c’è poco da mobilitare visto che il suo esercito si sta sciogliendo come neve al sole. Sono preoccupati, non sanno cosa fare e penso che cercheranno in tutti i modi di non dare adito a nessun “casus belli”, per non fare esplodere ancora di più la situazione, che qui sul terreno è molto volatile». L’Ucraina rischia di essere l’epicentro di una nuova guerra tra Occidente e Oriente, ma secondo Georges Nivat «potrebbe anche diventare una terza Europa: la prima è stata costruita dai padri fondatori dell’Unione Europea sopra le rovine della guerra mondiale, la seconda da grandi figure come Havel, Walesa e Giovanni Paolo II sulle rovine dell’impero comunista. Ora c’è l’Ucraina, che potrebbe diventare un ponte tra Unione Europea e Russia, ma per questo dobbiamo chiederci che cosa vogliamo. Se desideriamo costruire la pace, bisogna promuovere il dialogo e il confronto e non dare retta alla componente isterica e russofobica dell’Unione Europea».

@LeoneGrotti

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