Non si può dividere l’Ucraina in buoni e cattivi, come insegna la storia del giovane fuciliere Andriy in Crimea

Di Redazione
05 Marzo 2014
La sua caserma è assediata dai russi, che non sparano. Lui è diviso: detesta «la rivoluzione di Kiev ma ho giurato fedeltà all'intera Ucraina». I suoi superiori vogliono che combatta i russi «ma non ho niente contro di loro»

Ci sono storie che aiutano a capire quanto può essere diviso il cuore di un popolo o di una persona, trasportandoci fuori dalla divisione della rivolta ucraina in buoni e cattivi, in filoeuropei da sostenere e filorussi da condannare. Quella di Andriy raccontata oggi da Repubblica è una di queste storie.
Il fuciliere ucraino di 20 anni di origine russa è di stanza a Perevalnoe, base della 37esima brigata fanteria della Marina ucraina in Crimea, dove oggi comandano i soldati di Vladimir Putin e che intorno a metà marzo ha organizzato un referendum per far decidere alla popolazione se staccarsi da Kiev o meno.

UCRAINA O CRIMEA? La caserma è accerchiata da soldati ben armati e mezzi blindati e Andriy è diviso: da una parte ci sono i suoi amici che lo chiamano sul cellulare per chiedergli di unirsi ai russi, che assediano la caserma senza sparare, dall’altra i suoi superiori che lo spingono a combattere a viso aperto contro quegli uomini al di là del muro. Andriy detesta «quelli della rivoluzione di Kiev» e i suoi genitori «vanno in piazza ad applaudire l’intervento di Putin. Li capisco e condivido pure. Ma io sono un soldato o no?».
Come ha già fatto il comandante in capo della Marina ucraina, anche a lui hanno chiesto di giurare fedeltà alla Repubblica autonoma di Crimea, «ma io ho giurato fedeltà all’intera Ucraina. Tecnicamente è un tradimento e se poi si mettono d’accordo, a me che succede?».

«NON HO NIENTE CONTRO I RUSSI». Tutti sono nervosi come Andriy nella caserma a 40 chilometri dalla capitale Simferopoli che contiene il meglio della Difesa ucraina in Crimea: truppe scelte, autoblinde, pezzi d’artiglieria leggera. I soldati, a seconda delle opinioni, si scazzottano tra loro, mentre i superiori, quei «maledetti rompipalle» dell’indottrinamento ideologico («antica eredità di tutti gli eserciti sovietici»), ordinano loro di ribellarsi ai russi e affrontarli a viso aperto: «E da me cosa vorrebbero?», sbotta Andriy. «Che uscissi fuori a combattere contro questi qui? A parte che io non ho niente contro questi ragazzi venuti dalla Russia, ragioniamo dal punto di vista di pura tecnica militare: ci schiaccerebbero senza nemmeno sforzarsi troppo».

SERVE RICONCILIAZIONE. Davanti a storie come quelle del giovane fuciliere si capisce perché, come affermava lo slavista Georges Nivat a tempi.it, «il paese ora ha bisogno di compromesso e riconciliazione» e non di un Occidente che si schiera con gli uni o con gli altri.

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