Se il giudice è cattolico, allora non è “imparziale”. È questa l’assurda motivazione con cui si vorrebbe squalificare Carlo Deodato, l’estensore della sentenza del Consiglio di Stato che boccia le trascrizioni fatte dai sindaci italiani di nozze gay contratte all’estero. Non solo: andando a sbirciare sul suo profilo twitter, si scopre che Deodato rilancia (udite udite) articoli di tempi.it, la Nuova Bussola quotidiana, Sentinelle in piedi. Tanto basta per bollarlo come «di parte». Leggete cosa scrive il sito di Repubblica: «Per gli avvocati di Rete Lenford si tratta di una sentenza parziale e basta dare una rapida scorsa al profilo del giudice Deodato, uno dei cinque magistrati che compongono il Consiglio di Stato, per leggere tweet antigender, con diversi post provenienti da associazioni prolife e testate cattoliche chiaramente schierate contro le unioni gay e in difesa della famiglia di impianto tradizionale».
CHE COSA HA FATTO? Ma di quel gravissima colpa si è macchiato Deodato? Quella di avere delle opinioni? Quella di definirsi «giurista, cattolico, sposato e padre di due figli. Uomo libero e osservatore indipendente di politica, giurisdizione, costumi, società»? Tutto nasce dall’aver messo nero su bianco in una sentenza (qui il pdf) – si badi bene: assieme ad altri quattro colleghi – quel che tutti sanno a proposito delle trascrizioni, e cioè che non si possono fare. Punto. Con buona pace di Ignazio Marino e degli altri sindaci che si sono lanciati in questa battaglia.
LA SENTENZA. Facciamo un passo indietro per comprendere cosa ha suscitato le proteste. Questa mattina è apparso sul Corriere della Sera un articolo in cui – senza nominare il nome del giudice Deodato – si racconta che «il Consiglio di Stato richiama alla realtà sindaci e politici ma soprattutto invita il legislatore a decidere chiudendo la porta a improvvisazioni festose o iniziative illuminate. Ciò che manca alla coppia lesbo/omo, dicono i giudici del Consiglio di Stato, è un requisito essenziale che definiscono “ontologico”: la diversità fra i sessi. Se l’Italia vuole davvero riconoscere l’unione fra coppie dello stesso sesso allora deve introdurne il principio».
MARINO E IL PREFETTO. Secondo quanto riportato dal quotidiano milanese, nella sentenza c’è scritto che «il corretto esercizio della potestà impedisce all’ufficiale dello Stato civile la trascrizione di matrimoni omosessuali celebrati all’estero». Ciò significa che le iniziative dei vari primi cittadini italiani sono state delle fughe in avanti: «Il dibattito politico in corso in Italia sulle forme e sulle modalità del riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali sconsiglia all’interprete qualunque forzatura, sempre indebita ma in questo contesto ancora meno opportuna». In altre parole, per quanto riguarda il caso di Roma e lo scontro tra Marino e il prefetto Giuseppe Pecoraro, la sentenza dà ragione al secondo, riconoscendogli la legittimità di intervenire.
OPINIONI E PENSIERO DOMINANTE. Chiede sul suo blog la deputata di Ncd Eugenia Roccella: «Vorremmo sapere da Repubblica se il piccolo giro di magistrati (sempre gli stessi!) che in tutti questi anni hanno emesso sentenze allargando e stringendo le leggi italiane a mo’ di fisarmonica, interpretandole in modo a dir poco “creativo”, non avessero opinioni su famiglia, fecondazione assistita, gender ed eutanasia. Ma poiché le opinioni di questi magistrati, in genere collegati ad associazioni e gruppi di pressione, erano in linea con il pensiero dominante, ben interpretato da Repubblica, tutto andava bene. Ricordiamo che la sentenza del Consiglio di Stato è frutto della valutazione di cinque persone. Si tratta, quindi, di una scelta collegiale: l’attacco personale contro Deodato, che in questo momento apre il sito di Repubblica, appare dunque più che una notizia un messaggio intimidatorio».
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