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Tra il popolo di Artsakh, che ha la forza delle montagne

Nonostante una dura storia di avversità, dalle atrocità del genocidio armeno all’occupazione sovietica, la gente di Artsakh è rimasta salda e unita

Avery Kaczka
08/08/2017 - 12:47
Esteri
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Secondo di una serie di articoli (il primo reportage lo trovate qui) – Nelle persone dal carattere forte l’eccezionale forza d’animo e la virtù derivano da un pesante onere e dalle difficoltà. Vale a dire, non sono sole le circostanze che un individuo affronta a formare la persona, ma quali azioni quella persona intraprende in risposta alle circostanze. Frankling D. Roosevelt, nonostante la paralisi dovuta alla poliomielite, divenne presidente degli Stati Uniti d’America e guidò il suo paese attraverso la Grande Depressione e la Seconda Guerra Mondiale. Se non si cerca di superare le sfide che la vita presenta, allora non è possibile ottenere ciò che appare impossibile. Se Roosevelt si fosse arreso alla poliomielite e si fosse lasciato consumare, non avrebbe compiuto le sue imprese. Invece di considerare la sua condizione come un semplice peso, un’ingiustizia del fato contro di lui, Roosevelt cercò di scavalcarla. Questo esempio serve a dimostrare che le difficoltà non dovrebbero essere considerate come un peso, ma come una sfida essenziale per lo sviluppo e il progresso.

Questo è il caso della gente di Artsakh: nonostante una dura storia di avversità, dalle atrocità del genocidio armeno all’occupazione sovietica, i conflitti con Turchia e Azerbaigian e l’attuale lotta per il riconoscimento della sua indipendenza, la gente di Artsakh è rimasta salda e unita. Terra di armeni formalmente distinta dall’Armenia, la Repubblica di Artsakh è un paese indipendente di circa 150 mila persone che cercano di superare il loro passato pieno di difficoltà e di svilupparsi come paese forte. In tutto il paese ci sono chiari e distinti indizi della storia di conflitti e battaglie che la popolazione ha affrontato. Tuttavia sono stati compiuti anche notevoli sforzi per superare questi conflitti.

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Abbondano gli edifici in rovina, in particolare nella storica ex capitale Shushi, e i progetti di restauro sono costantemente in corso in tutto il paese, nel tentativo da parte degli abitanti di Artsakh di risanare la loro eredità culturale. L’inflazione e i salari bassi rendono il costo della vita alto, ma la generosità e gentilezza sono ancora una prassi comune tra la gente, persino (e soprattutto) verso quegli stranieri che vanno a trovarli. Alcune persone di Artsakh si sentono più a loro agio parlando russo anziché armeno, risultato dell’influenza sovietica, ma i giovani parlano entrambe le lingue e adottano rapidamente l’inglese come terza lingua. Questa inclusione dell’inglese all’interno della popolazione consente loro di avere una voce anche in Occidente.

Queste difficoltà non scoraggiano la gente di Artsakh, che anzi prendono le misure necessarie per superare gli ostacoli al fine di rafforzare il loro popolo e il proprio paese. L’anno scorso l’Artsakh stava affrontando un’escalation nel conflitto con l’Azerbaigian, ma la gente ora trae orgoglio dal Memoriale in ricordo della difesa di Shushi e dedica il terzo brindisi di ogni festa in onore dei propri soldati. Gli abitanti di Artsakh sono militari per necessità, ma non ne vengono toccati nel cuore. Cercano semplicemente di vivere una buona vita e di essere se stessi, di attenersi alle loro tradizioni e di difendere la propria identità così come la loro esistenza. Non sono solo le avversità che la gente di Artsakh affronta a definirli, ma anche i valori che custodiscono. Il simbolo nazionale di Artsakh, intitolato Meno enk mer lerner, “Siamo le nostre montagne”, esprime il profondo legame della gente di Artsakh con la loro terra e le loro tradizioni. Come le montagne, il popolo di Artsakh possiede una forza insormontabile. Non permettono che le difficoltà impediscano loro di prosperare, ma cercano di fare ciò che è buono e difficile perché è giusto e gratificante.

Nell’Occidente contemporaneo, e in particolare negli Stati Uniti, l’atteggiamento e l’approccio verso le difficoltà sono scivolati nella paralisi. Invece di affrontare le sfide che si incontrano, gli americani sono arrivati a credere che molte sfide della vita sono ostacoli da respingere perché ci si trova nel torto. La storia degli Stati Uniti non è mai stata facile, ma il paese ha prosperato perché la sua popolazione ha cercato l’eccellenza perseguendo il bene in senso aristotelico: l’aspirazione degli Stati Uniti è sempre stata quella di incarnare l’eccellenza. La storia del paese è piena di persone eccezionali come Roosevelt che hanno superato le avversità, a cominciare dall’esempio dei Padri Fondatori. In meno di due secoli gli Stati Uniti si sono trasformati da un paese appena divenuto indipendente alla più grande superpotenza mondiale.

Il raggiungimento del potere non si ottiene senza difficoltà e conflitti, né la storia degli Stati Uniti è stata senza macchie. Il coraggio degli americani nell’affrontare le avversità e la loro “caccia all’eccellenza” sono esemplari. Ma a causa dei loro errori e dei loro crimini sanguinosi, molti americani hanno sviluppato disprezzo e disapprovazione per gli Stati Uniti e la loro storia. C’è una grande paura e un profondo risentimento in molti americani disillusi che credono che il sogno americano sia fallito e che il loro paese abbia perso la forza. Hanno però dimenticato che sono le difficoltà e la determinazione – e non la facilità e il successo – a caratterizzare il sogno americano.

Come la storia dell’ascesa degli Stati Uniti è segnata dalle lotte, così anche lo sforzo del singolo cittadino americano verso il successo è una questione di avversità. Per gli americani è importante ricordare che la Dichiarazione di indipendenza promette ai cittadini il diritto di perseguire la felicità: questa promessa autorizza ciascuno a perseguire non una felicità svincolata, ma tutte le difficoltà che si accompagnano alla ricerca dell’eccellenza. Se uno fosse all’altezza della sfida, allora la felicità sarebbe alla sua portata. Non è la grandezza che l’America promette al suo popolo, ma la possibilità di raggiungere la grandezza. Lo stress, i conflitti e le sfide sono requisiti necessari allo sviluppo: sono colline da salire così che ciascuno possa raggiungere le proprie aspirazioni.

Eppure i giorni in cui le persone intraprendevano iniziative in America hanno ceduto il passo a esibizioni di diritti e apatia. Sebbene il fatto stesso di essere un cittadino americano sia un privilegio, ogni cosa che infrange il proprio comfort viene considerata un’ingiustizia. Quando si incontra una difficoltà la risposta standard è quella di condannarla come ingiustizia. Ora che le persone stanno diventando sempre più riluttanti ad afferrare un’occasione e fare ciò che è necessario, l’eccellenza per la quale l’America si è battuta scivola via.

Soprattutto ora in questi tempi di grande incertezza e dubbio, e ora che la prosperità e il potere degli Stati Uniti vacillano, è importante che gli americani non abbandonino la ricerca dell’eccellenza. Come la gente di Artsakh, devono affrontare di petto le avversità e, ancora una volta, fare ciò che è necessario per superare le sfide che si incontrano. Condannare completamente gli Stati Uniti per i suoi difetti equivale a ignorare gli enormi sforzi di un popolo che ha tentato di migliorare il mondo. Non è stato un compito portato a termine facilmente, ma in due secoli gli Stati Uniti hanno contribuito in larga parte al benessere del mondo. Essere un patriottico americano non significa esentare il proprio paese dalla colpa, ma riconoscere, sostenere e incarnare gli ideali sui cui l’America è fondata: quelli di libertà e indipendenza. E soprattutto significa rispettare la coraggiosa ricerca intrinseca a questi valori, la ricerca della verità e del bene.

Foto Ansa

Tags: Artsakhazerbaigiangenocidio armenoTurchia
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