
Lettere al direttore
Tra cattolici adulti e ultracattolici: dove sono finiti i cattolici?

L’ultima tornata elettorale e la susseguente elezione dei Presidenti di Camera e Senato, ha sdoganato, nell’infuriare di polemiche ad arte create da certa stampa e da commentatori stipendiati più per creare problemi inesistenti che per riflettere effettivamente sulla realtà, un nuovo termine nella galassia delle definizioni pertinenti e afferenti al cattolicesimo, cioè l’aggettivo “ultracattolico”.
Così, infatti, è stato definito il neoeletto Presidente della Camera Fontana che risulterebbe ultracattolico in quanto parteciperebbe alla messa quotidianamente ogni mattina, in quanto reciterebbe, addirittura, 50 Ave Maria al dì, in quanto il 25 aprile festeggerebbe San Marco invece di celebrare le liturgie di Stato in onore dei moti resistenziali, in quanto cita Gilbert Keith Chesterton, in quanto non difende le unioni differenti da quella naturale tra uomo e donna (come peraltro recita l’articolo 29 della Costituzione), in quanto ritiene che vi sia un pericolo di islamizzazione della civiltà occidentale in genere e dell’Europa e dell’Italia in particolare.
Insomma, le predette sarebbero le fenomenologie più evidenti e caratterizzanti di chi può essere definito come ultracattolico.
Ed ecco il problema su cui si intende qui riflettere.
Da tempo oramai eravamo abituati alla locuzione di “cattolici adulti”, a cui adesso si affianca quella di ultracattolici.
La cattolicità, insomma, viene ad essere dicotomizzata: da un lato i cattolici adulti e dall’altro lato gli ultracattolici.
I primi sono quei cattolici che si sentono emancipati dalle prescrizioni morali e teologiche della Chiesa, sono coloro che ritengono che la fede sia da integrare e talvolta sostituire perfino con il progresso, che un’opera sociale sia più cattolica di un atto di devozione, che il cattolicesimo possa e debba essere vissuto non più dogmaticamente, ma alla luce dei mutamenti sociali e storici, non secondo principi e norme astratte, ma secondo le dinamiche transeunti della società.
I secondi, invece, cioè gli ultracattolici sono coloro che ancora rimangono legati a concezioni superate della famiglia, che perdono il loro tempo nelle preghiere e nelle messe quotidiane, che più o meno esplicitamente esprimono una concezione sorpassata della fede, dell’uomo e della società.
Insomma, il cattolicesimo sembra oramai ridotto al confronto tra queste due fazioni, sebbene la distinzione non sia puramente descrittiva, ma spesso foriera anche di un giudizio etico retrostante, rintracciandosi, infatti, tra i cattolici adulti i cattolici buoni che vivono per gli altri (i deboli, gli oppressi, gli immigrati, gli esclusi ecc) e tra gli ultracattolici i cattolici cattivi che invece vivono di pregiudizi e ostilità verso il prossimo.
In tutto ciò una domanda sorge spontanea: che fine hanno fatto i cattolici?
Con tutta evidenza entrambe le definizioni sono delle manipolazioni linguistiche della realtà volte a celare nel caso dei cattolici adulti la loro refrattarietà alla adesione della piattaforma teologico-morale del cattolicesimo in favore di una forma di individualismo progressista dei valori da essi predicati, e volta a rendere caricaturale, nel caso dei cosiddetti ultracattolici, proprio la predetta adesione alla suddetta piattaforma teologico-morale.
In entrambi i casi la natura del cattolicesimo è volutamente fraintesa: la prima volta come distacco dal suo nucleo assiologico fondamentale; la seconda volta come derisione dell’adesione al suo nucleo assiologico fondamentale.
In entrambi i casi la cattolicità del cattolico è sostanzialmente negata e rinnegata.
Il cattolico, infatti, è tale soltanto se non ha aggettivi, poiché ogni sua aggettivazione depaupera e contrasta la sua cattolicità, cioè la sua universalità.
Ecco perché ci si dovrebbe chiedere dove siano finiti i cattolici, quelli autentici, quelli senza aggettivazione, cioè in sostanza quelli che, come aveva insegnato Giustino, si difendono dalle accuse ingiuste e pretestuose che il mondo loro rivolge e che, come ha insegnato San Giovanni, sono nel mondo, ma non sono del mondo.
I cattolici per primi, dunque, dovrebbero sottrarsi a questa ingenua catalogazione che il mondo contemporaneo si diletta ad esercitare su di loro, e proprio al mondo contemporaneo dovrebbero insegnare cosa vuol dire essere cattolici, cioè appunto né ultra né adulti.
Fin quando il cattolicesimo non riuscirà a liberarsi dal giogo del vuoto ideologico-semantico con cui i suoi storpiatori e detrattori cercano di imbrigliarlo non si potrà sperare di avere una autentica comprensione odierna del cattolicesimo medesimo, e un cattolicesimo non in grado di comprendere più se stesso si pone in contrasto tanto con la fede quanto con la ragione, cioè diviene, forse suo malgrado, un anti-cattolicesimo.
Sono disposti i pochi cattolici rimasti in circolazione ad accettare silenziosamente un così grave paradosso?
Aldo Vitale
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1 commento
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Articolo da incorniciare!!!!!
Grazie.
Lodovico.