Il 25 aprile la capitale del Nepal, Kathmandu, è stata sconvolta da un violentissimo sisma di magnitudo 7.8. Il 12 maggio, un secondo terremoto di magnitudo 7.3 ha peggiorato ancora di più la situazione. A due mesi dal primo sisma, il bilancio (ancora provvisorio) delle conseguenze è questo: otto milioni di persone colpite, 8.786 vittime, 22.310 feriti circa, 510.762 case rase al suolo, 291.707 danneggiate. Questi i dati di Caritas Nepal, il cui portavoce, Prakash Khadka, ha rilasciato un’intervista a tempi.it.
Dove vivono a due mesi dal terremoto gli sfollati?
Su 75 distretti, 39 sono stati colpiti e in questi molte persone sono rimaste sfollate in un modo o in un altro. Secondo l’Onu, stiamo parlando di circa 2,8 milioni di persone, mentre il governo non ha dati ufficiali. Nella valle di Kathmandu, sono riuniti nei grandi spazi pubblici, come lo stadio Halchowk, il Memorial Park, altri campi da gioco o anche sul ciglio delle strade. Alcuni sono ospitati da familiari o vicini, ma tanti sono ancora sotto i tendoni o ripari di lamiera. Però ora c’è un altro problema.
Quale?
Interi villaggi si sono spostati in altre città, ma ora potrebbero essere evacuati di nuovo in aree più sicure perché la stagione dei monsoni comincerà questa settimana. La terra continua a tremare, causando valanghe che hanno già ucciso centinaia di persone, ma gli smottamenti dureranno almeno fino alla fine di settembre, quando finiranno le violenti piogge.
Di che cosa ha più bisogno la popolazione?
Riparo, prima di tutto, visto l’arrivo dei monsoni. Non si può neanche pensare di ricostruire qualcosa prima di ottobre o novembre. Quindi servono tetti temporanei per le famiglie. Caritas Nepal sta cercando di fornire materiali per il riparo insieme ad altre organizzazioni. Nei distretti dove è disponibile la lamiera ondulata, ne finanziamo l’acquisto per aiutare le famiglie e allo stesso tempo l’economia locale. Per ogni famiglia servono 15.000 rupie nepalesi (134 euro) o 18 pezzi di lamiera ondulata. Il governo si è impegnato a provvedere e noi stiamo lavorando a stretto contatto con loro.
Siete quindi ancora in una fase di transizione?
Sì. Quando piove troppo è impossibile ricostruire, così come non si possono trasportare materiali in villaggi di montagna dove le strade saranno allagate per mesi. Ad oggi, con aiuti di emergenza, Caritas Nepal ha già raggiunto oltre 250 mila persone in 15 diversi distretti, anche grazie al determinante aiuto della Caritas italiana.
La popolazione ha ancora paura di nuovi terremoti?
Per fortuna le scosse di assestamento sono molto diminuite. Prima ce n’erano tante, tremori ogni giorno e ogni notte. Ora sono poche, lievi e a grande distanza l’una dall’altra. Ma la gente è spaventata, molti non vogliono tornare dentro le case, anche se possono, e continuano a vivere all’esterno. La gente ora teme che i monsoni peggiorino molto le condizioni di vita. Noi come Caritas Nepal offriamo anche sostegno psicologico attraverso un gruppo teatrale che realizza scene su come riprendersi e recuperare dallo shock. Andiamo soprattutto nei centri di distribuzione, dove la gente si trova naturalmente insieme.
Quanto ci vorrà per la ricostruzione?
La strada è lunga, serviranno come minimo tre anni. Anche prima del terremoto, il Nepal era il quarto paese più povero del mondo. Noi speriamo che la comunità internazionale continui a pensare e pregare per noi, aiutando il popolo del Nepal. Noi siamo grati a tutto il circuito della Caritas che ci ha aiutato fino ad oggi e ci ha permesso di intervenire con prontezza in uno dei momenti più bui della nostra storia. Continuate a sostenerci, perché possiamo ricostruire tutto rendendolo anche meglio di prima.
Foto studenti Ansa/Ap