Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Nel novembre 2002 eravamo a San Giuliano di Puglia dove il 31 ottobre a causa di un forte terremoto crollò una scuola elementare, causando la morte di 27 bambini e una maestra. Nei giorni successivi, sul luogo arrivò il molisano Antonio Di Pietro che, in un piccolo comizio davanti alle macerie, esordì promettendo che «i colpevoli, questa volta, saranno tutti puniti col carcere».
Perché lo raccontiamo? Perché solo pochi giorni fa, un titolo in prima pagina sul Corriere della Sera recitava: “I crolli e le vittime: solo 14 condannati per 5 terremoti”. Tutti comprendono che la parola più importante di quel titolo è “solo” e l’esplicito sottointeso è che in Italia non paga mai nessuno, che siamo un paese di furbi e che i colpevoli la fanno sempre franca. Questa è una parte della verità che però viene enfatizzata per rinfocolare risentimenti e dar sfogo a pur comprensibili dolori.
Nessuno mette qui in dubbio che si debba chiedere giustizia e che si indaghi per scoprire se vi siano state delle responsabilità. Ma quel che non ci piace è questa perenne ricerca del capro espiatorio, anche a fronte di eventi devastanti e, per molti versi, misteriosi come i terremoti. Non ci piace che non si tenga mai conto del fatto che, al netto di possibili errori, sui precedenti sismi dei processi – anche molto lunghi – sono stati fatti, delle persone sono state giudicate, delle sentenze sono state emesse.
Dobbiamo rammaricarci, come fa il Corriere, che vi siano state “solo” 14 condanne o dobbiamo, al contrario, accettare che l’imperfettibile giustizia umana sia giunta a tali conclusioni? Chi ha sbagliato paghi, ma non si prometta di arrivare a una giusta sentenza percorrendo l’unica strada che non può garantirla: la vendetta.
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