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Anche stamattina la prima pagina del quotidiano che leggo prima di una lunga serie aveva errori di ortografia. E m’è sembrato l’ennesimo scarso rispetto verso il lettore che dovrebbe far vivere il giornale, ma questa in realtà è un’illusione. Mi infastidiva quel collega che inviava pezzi senza mettere gli spazi fra le virgole: oggi, che ha superato i 70 anni, scrive sempre lo stesso articolo come i tromboni che emettono un suono monocorde. La cura del particolare ha qualcosa di affascinante e contiene il rispetto per chi entra nella tua orbita, fosse un lettore o una persona che entra in casa.
Quando ai tempi dell’università ci trovavamo, avevamo il senso che era l’amicizia ciò che avrebbe riempito di significato il ritrovarsi. Non avevamo soldi, non potevamo frequentare i locali in Brera, ma alla sera andavamo da Moscatelli in via Garibaldi: un signore anziano che conduceva un locale spartano, con un jukebox degli Anni Trenta. Ordinavamo...
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