Te Deum laudamus perché non marcio da solo

Di Alex Schwazer
02 Gennaio 2017
No, non voglio fare la vittima. Ho sbagliato e ho pagato, ma sono tornato e ho vinto. Mi hanno fermato a un centimetro dal sogno. Ma ho scoperto nuovi compagni di cammino

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Questo articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola a partire dal 29 dicembre (vai alla pagina degli abbonamenti) e secondo tradizione è dedicato ai “Te Deum”, i ringraziamenti per l’anno appena trascorso. Nel “Te Deum” 2016 Tempi ospita i contributi di Benedict Nivakoff, Alex Schwazer, Rone al-Sabty, Ilda Casati, Luigi Amicone, Siobhan Nash-Marshall, Tiziana Peritore, Therese Kang Mi-jin, Anba Macarius, Roberto Perrone, Pier Giacomo Ghirardini, Farhad Bitani, Maurizio Bezzi, Renato Farina, Pippo Corigliano, padre Aldo Trento, Mauro Grimoldi. Il prossimo numero di Tempi sarà in edicola da giovedì 12 gennaio 2017.

Talentuoso marciatore italiano, oro olimpico nella 50 chilometri a Pechino 2008, Alex Schwazer risultò positivo a un controllo antidoping alla vigilia dei Giochi olimpici di Londra 2012. Dopo la squalifica riprese l’attività vincendo la 50 chilometri ai Mondiali a squadre di marcia 2016 a Roma, ottenendo il pass per Rio de Janeiro 2016. Ma a pochi giorni dai Giochi olimpici fu di nuovo squalificato dalla Iaaf per doping. Schwazer si è proclamato innocente, ma non ha potuto partecipare alle gare. Oggi è allenatore privato (www.schwazer-coaching.com).

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Quando marci sei da solo. Sei tu con la strada, il tuo corpo e il tuo cuore. Senti i battiti e il ritmo dei passi. Quante ore d’allenamento ho passato con quei rumori, un passo dietro l’altro, e intorno solo le montagne, i boschi e, solo di tanto in tanto, il silenzio rotto dal saluto di qualche passante stupito di incrociarmi. Sapete, è tutta la vita che marcio da solo. Intendiamoci: non proprio “da solo”, c’è spesso l’allenatore e, quando sei in gara, ci sono gli avversari. Ma c’è una solitudine nella marcia che, credo, non sia paragonabile a nessun altro sport. Probabilmente perché è una disciplina massacrante, faticosissima, che ti prosciuga al punto tale che ti fa essere sempre sul precipizio di un burrone. Nemmeno tu sai se riuscirai a fare un altro chilometro, metro, centimetro. Si è costantemente di fronte al proprio limite e, al contempo, al proprio desiderio di spingersi un po’ più in là, di un centimetro, di un metro, di un chilometro.

Sono Alex Schwazer, e lo sapete tutti cosa mi è successo quest’anno. Ne hanno scritto tutti i giornali, ne hanno parlato tutte le televisioni, e spesso a sproposito. Madre Natura mi ha fatto un dono e io di questo sono consapevole. L’ho usato bene, spesso, questo dono. Quel limite l’ho spinto un po’ più in là, tante volte, destando negli altri sentimenti d’ammirazione e in me stesso stupore. Ma altre volte quel dono l’ho usato male. O meglio, l’ho rovinato. Ho sbagliato, quante volte dovrò ripeterlo? Non posso farci più nulla. Il peggior nemico di me stesso sono stato io stesso.

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© Giancarlo Colombo

Ma poi ho pagato per quell’errore. Ho pagato un conto salatissimo, che ad altri è stato risparmiato. Poiché sapevo che avrei dovuto scontrarmi con lo scetticismo e i sospetti altrui, sono stato il più inflessibile giudice di me stesso. Mi sono sottoposto a continui e rigidi controlli, mi sono allenato duramente, fino a sfiancarmi, ho smesso di prendere l’aspirina anche quando il mal di denti mi tormentava. Ero stato in Paradiso, ero precipitato all’Inferno e lo sapevo che la strada del Purgatorio sarebbe stata lunga e tortuosa. Ho deciso di percorrerla come sempre: un passo alla volta, un centimetro, un metro, un chilometro alla volta. Ho chiesto a Sandro di essere con me, rigiocandomi tutto, pagandomi gli scarpini, la divisa, i viaggi, gli hotel. Di giorno mi allenavo, la sera lavoravo nei ristoranti come cameriere. Ero ancora solo e questa volta di una solitudine ancora più profonda, diversa, resa unica e pesante dai tanti sorrisini beffardi che sibilavano alle mie spalle: «Dove vuole andare quello lì?».

Sono tornato, ho vinto. Ero caduto e mi ero rialzato. Ho percorso i metri e i chilometri della vergogna e dell’umiliazione, ma poi, a pochi centimetri dal sogno di tornare alle Olimpiadi, mi hanno fermato. No, non voglio fare la vittima. Pensatela come volete, un giorno, spero, mi sarà resa giustizia. Un giorno quel signore che mi ha accusato, quel signore che sapeva del doping di altri atleti, quel signore che ha detto bugie sul mio conto durante l’indagine, quel signore che ancora a Rio ha negato la verità, quel signore ne dovrà rispondere. Se non a me o in un tribunale dovrà farlo davanti alla sua coscienza, il giudice inflessibile che non si può mai ingannare.

Per cosa mai dovrei ringraziare, in un anno così? Di nulla, mi verrebbe da dire. Ma, poi, se mi fermo un attimo vedo chi mi è stato vicino in questi momenti drammatici: gli amici veri, i familiari, la mia compagna. E capisco che c’è una marcia nella vita che nessuno può fermare. Oggi non c’è più centimetro, metro, chilometro che io percorra da solo. Diventerò papà. No, Alex Schwazer non marcia più da solo.

Foto Ansa

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