Te Deum laudamus per l’abbraccio tra vittime e carnefici

Di Gilberto Cavallini
05 Gennaio 2016
Negli anni di piombo ha oltraggiato il Dio conosciuto in gioventù. Dopo la scelta disperata della lotta armata lo ha ritrovato in cella. Delitto, castigo e riconciliazione di un pluriergastolano
Incidenti in via Tuscolana a seguito dei delitti di Via Acca Larentia, automobili bruciate e autobus di traverso, in una foto d'archivio dell'8 gennaio 1978. ANSA

 

Questo articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola a partire dal 31 dicembre (vai alla pagina degli abbonamenti), che è l’ultimo numero del 2015 e secondo tradizione è dedicato ai “Te Deum”, i ringraziamenti per l’anno appena trascorso. Nel “Te Deum” 2015 Tempi ospita, tra gli altri, i contributi di Antonia Arslan, Sinisa Mihajlovic, Luigi Brugnaro, Marina Terragni, Totò Cuffaro, Gilberto Cavallini, Luigi Negri, Costanza Miriano, Mario Adinolfi, Marina Corradi, Roberto Perrone, Renato Farina.

Gilberto Cavallini nasce a Milano nel 1952, in una famiglia cristiana, umile e unita, segnata dalla uccisione di un fratello della mamma alla fine della guerra civile. Militante di destra fin dalle superiori, viene arrestato nel 1976 dopo essere stato coinvolto in uno scontro seguito all’assalto a una sede del Msi, durante il quale viene ucciso un ragazzo di sinistra. Nel 1977 riesce a scappare durante un trasferimento. In appello la sua posizione viene ridimensionata. Durante la latitanza, negli “anni di piombo”, entra in contatto con gli ambienti della destra romana ed entra a far parte del gruppo fondatore dei Nuclei Armati Rivoluzionari, i «7 magnifici pazzi». È l’ultimo di quel gruppo a essere arrestato, nel 1983. Accusato di reati gravissimi fra cui l’omicidio di un magistrato, due poliziotti e un carabiniere, è condannato a più ergastoli. Durante i processi si assume ogni responsabilità. In carcere si riavvicina alla fede e si dedica agli “ultimi degli ultimi” fra detenuti tossici ed extracomunitari. Nell’estate del 2001 ottiene la semilibertà, e inizia a lavorare in una comunità di recupero e poi come impiegato in un centro sportivo. Nel dicembre del 2002 viene fermato e trovato in possesso di una pistola. Da allora è sepolto in carcere a Terni dove, nel 2013, si è laureato con 110 e lode in Discipline delle arti figurative e dei linguaggi creativi.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”] Nei giorni precedenti le feste natalizie ho aiutato padre Rino Morelli, il cappellano del carcere di Terni dove mi trovo da alcuni anni, a preparare un enorme presepe che copre una vasta area del pavimento della chiesa. Erano tantissimi anni che non lo facevo e con la mente sono tornato indietro nel tempo, quando preparavo il presepe assieme alla mia buona mamma che mi insegnava l’amore per il Vangelo di nostro Signore, che a mia volta coltivavo frequentando l’oratorio della parrocchia di San Pio V di Milano e cantando nel coro in occasione della santa Messa. Inoltre, trascorrevo le mie estati con i missionari comboniani, che avevano una casa generalizia a Lanzo d’Intelvi, dei quali ammiravo la forza della fede e l’impegno che mettevano nell’affrontare la vita, loro che, dopo l’arrivo in terra di missione, erano spesso destinati al martirio.

Ringrazio dunque Dio per avermi fatto trascorrere un’adolescenza piena di allegria e di pathos cristiano. Poi venne il “Sessantotto”… Il mio buon papà durante la guerra civile aveva perso un fratello e un cugino. Anche vari amici che avevano aderito alla Repubblica Sociale Italiana furono uccisi dai partigiani comunisti. Papà mi aveva trasmesso il culto della memoria dei Caduti, perciò mi venne naturale non condividere le idee e la pressi dei seguaci di Marx e Mao e per questo, a sedici anni, sono diventato un reietto da perseguitare e possibilmente annientare. Ma allora non ero votato a porgere l’altra guancia e mi sono calato nella lotta restituendo colpo su colpo; poi sono arrivati gli “anni di piombo” e sono andato addirittura oltre, causando vittime, finché sono stato fermato, imprigionato e condannato.

te-deum-2015-tempi-copertina-kRingrazio Dio anche di questo, perché nella mia cella, popolata dagli incubi e dalle visioni delle mie vittime e dei miei camerati che avevano perso la vita condividendo quella scelta disperata, poco alla volta sono riaffiorati i ricordi e i propositi della mia gioventù, e con essi il bisogno di rivolgermi nuovamente a quel Dio che avevo abbandonato e oltraggiato. E il Buon Dio in qualche modo mi ha ascoltato, inviandomi come messaggero il padre gesuita Adolfo Bachelet nel cui sguardo e nel cui cuore ho ritrovato la stessa limpidezza e la stessa forza della fede che avevo ammirato tanti anni prima nei missionari comboniani.

Con padre Adolfo ho percorso un’altra tappa importante della mia vita, finché Dio lo ha chiamato a Sé e io mi sono ritrovato un po’ più solo. Ho sommato nuovi errori e nuove colpe, ma non ho rinnegato il suo insegnamento, sentendo anzi la necessità di trovare una nuova guida spirituale. E Dio, che non lesina nulla ai suoi figli, mi ha mandato un secondo messaggero, padre Guido Bertagna, anch’egli della Compagnia di Gesù, che nel frattempo aveva ripreso e continuato l’opera di riconciliazione tra i familiari delle vittime e i responsabili della lotta armata che aveva iniziato padre Adolfo fin dagli anni Ottanta (o forse prima), per la quale ho rinnovato la mia disponibilità e il mio impegno, convintamente e doverosamente. Opera di riconciliazione che padre Guido, come il suo predecessore, aveva e ha portato avanti per anni in silenzio e con estrema discrezione, finendo col renderne testimonianza solo quest’anno attraverso Il libro dell’incontro, presentato a Milano, pubblicato da Il Saggiatore pochissimi giorni fa.

Mi è venuto naturale confidare tutto questo a padre Rino, mentre preparavamo il presepe qui a Terni; e quando lo abbiamo terminato abbiamo ringraziato Dio per avere dato ai familiari delle vittime la forza per partecipare agli incontri con i carnefici dei loro cari. Ma, soprattutto, abbiamo voluto pregare Dio di infondere la stessa forza in coloro che non hanno saputo, potuto o voluto condividere questa scelta: incontrare, ascoltare e, se lo ritengono, perdonare, vedendo nel Bambinello destinato a salire sulla Croce il simbolo vivente e operante di ogni Risurrezione. È solo per rilanciare questo messaggio di riconciliazione che, dopo avere sempre rifiutato di esibirmi in interviste, interventi o ricostruzioni del mio passato e del mio presente, nell’anno del Giubileo della Misericordia, ho accettato di scrivere queste righe. Buon Natale a tutti.

Foto Ansa

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